La Formazione Priofessione è per noi un elemento prioritario così come il controllo delle qualità
Ecco quindi che parleremo nelle pagine successive della Scuola di Liuteria di cremona e della nsotra posizione al riguardo e del violino no DOC
Certamente importante anche quello del Collegio peritale.
E' ovvio che forse non riusciremo nel nostri intento Crediamo comunque importante sottolineare con forza le nostre idee CONVINTI DI ESSERE NEL GIUSTO
COLLEGIO PERITALE PER
PORTARE DAVVERO CREMONA
AL CENTRO MONDIALE
DELLA LIUTERIA
I protocolli che gli enti di Cremona dovranno stipulare con l’ Unesco in relazione al recente riconoscimento ottenuto dalla città presuppongono un notevole sforzo di serietà e rigorosi controlli sia sui metodi costruttivi, sia sui materiali usati, sulla resa acustica degli strumenti cremonesi ecc.
L’ANLAI ritiene comunque importante segnalare un ulteriore problema relativo al mondo della liuteria, che evidenzia da sempre notevoli carenze e difficoltà. Ci riferiamo all’expertise degli strumenti ad arco che consentono notevoli “ guadagni” ad un numero limitatissimo di “ esperti” che si distinguono anche, a volte come documentato da vari tribunali in molti paesi, per aver certificato clamorosi falsi.
Questi signori ritenuti esperti in virtù delle loro conoscenze e capacità sono chiamati a dichiarare l’originalità di strumenti delle varie epoche e delle varie scuole. Sono quasi sempre non italiani, sono numericamente pochissimi e non supportano quasi mai le loro dichiarazioni con una documentazione scientifica adeguata.
Non si discute la serietà, l’impegno e le capacità di alcuni di loro quanto la possibilità di errori anche involontari e comunque la scarsità di prove scientifiche.
PROPOSTA ANLAI
La richiesta quindi che l’Anlai avanza a Cremona, al Museo del Violino in particolare e agli altri enti cremonesi che si dovranno far carico dei protocolli per l’UNESCO è quella di dar vita finalmente anche ad un COLLEGIO PERITALE in grado di arrivare a dichiarare l’originalità di strumenti di pregio supportando queste dichiarazioni con tutta una documentazione tecnico scientifica possibile grazie anche ai laboratori scientifici dell’Università di Pavia e del Politecnico.
Ci si dovrebbe far carico di costituire quindi un Collegio composto da maestri di grande fama e capacità ( alcuni dei quali operano anche a Cremona ) il che consentirebbe anche a loro notevole prestigio, che andrebbero ovviamente remunerati per il loro impegno ma questo organismo non solo potrebbe dare enorme prestigio e visibilità a Cremona ma eliminerebbe la aleatorietà e la possibilità di tentazioni e riporterebbe serietà nel settore oltre a determinare una più importante presenza di Cremona nel mondo della liuteria.
PS E’ necessario sapere che l’expertise consente al “ perito “ un utile del 10% sul valore attribuito allo strumento. Va da sé che può esistere la tentazione di attribuire uno strumento ad un autore anche dello stesso periodo ma maggiormente apprezzato dal mercato o addirittura di attribuire ad un liutaio classico uno strumento costruito magari anche molti anni dopo la sua scomparsa e ovviamente di altro autore meno noto e meno importante. Ciò è accaduto accade e accadrà se non si interviene correttamente.
INTERVISTA IN TV
AL PRESIDENTE ANLAI
D- Prof Nicolini, come saprà è stata restituita oggi al suo legittimo proprietario la viola Medicea il cui valore è stato calcolato in 5 milioni di euro. Lei che è un esperto del settore cosa pensa in merito al problema del valore degli strumenti antichi ?
E’ estremamente difficile dare un valore ad uno strumento antico in considerazione del fatto che specialmente gli strumenti classici cremonesi cui si aggiungono altri autori come Gasparo da Salò, G.B. Guadagnini, Montagnana ed alcuni altri grandi maestri del passato nel giro di pochi anni hanno registrato un incremento di valore “stratosferico” . Ad esempio uno strumento di Guarneri del Gesù aveva raggiunto nel 2006 quota 5 milioni di euro, ebbene nel luglio 2010 un altro suo strumento non molto “diverso il “Veuxtemps” è stato battuto a 18 milioni di dollari!!
Lo stesso dicasi per strumenti del “ sommo” Stradivari . Il suo “Molitor” del 1697 che ha preso il nome da un generale di Napoleone che è stato suonato per vari anni da Elmar Oliverira nel 2010 ha spuntato la cifra di 3,6 milioni euro ma nel 2011 il “Lady Blunt” è stato attribuito per 16 milioni di dollari.
Altro dato che evidenzia l’enorme aumento di valore è dato ad esempio dal “Lambert “ un altro Strumento di Stradivari, costruito nel 1729 che acquistato negli anni ’70 per 30 mila dollari è stato poi rivenduto dopo 40 anni per un milione e mezzo di dollari.
Un recente studio di Florian Leonhar, uno dei principali trader inglesi che l’Anlai conosce bene essendo stato il presidente di Giuria del nostro Concorso di Liuteria di Pisogne ed anche prossimo presidente in settembre sempre a Pisogne, evidenzia un aumento per strumenti classi del 750% in vent’anni. Sono nati anche diversi fondi di investimento specializzati in questo settore.
D - Da cosa dipende il valore di uno strumento classico di questi livelli ?
Dipende dall’autore, da chi lo ha costruito ovviamente ma anche dall’importanza di chi lo ha suonato o posseduto e ovviamente anche dallo stato di conservazione. Importante per far aumentare il valore di uno strumento classico ( se non è già stato di qualche grande musicista ) è anche affidarlo ad un grande nome che sia disponibile a suonare lo strumento ed a portarlo in giro per il mondo per i suoi concerti
D-Cosa ci può dire sulla autenticità però di questi strumenti ?
Come l’Anlai ha più volte ribadito l’expertise è da tempo “ appannaggio” di una èlite di persone ( tra l’altro nessuna delle quali italiana ) che senza dubbio per la loro fama, esperienza, capacità riconosciute “ si arrogano il diritto “ di dichiarare l’autenticità di queste opere; dichiarazioni che sono ritenute valide da tutti.
Alcuni “ problemi” riguardano però il fatto che l’expertise consente in genere un utile del 10 % sul valore attribuito e questo fatto in alcuni casi potrebbe indurre alcuni ad attribuire magari uno strumento sicuramente di valore e del periodo ad un autore che è più affermato e più quotato ( ovviamente che ha lavorato magari nella stessa bottega o città nello stesso periodo oppure anche attribuire lo strumento del padre al figlio o viceversa sempre considerando chi ha più valore )
Altro problema riguarda la mancanza quasi sempre di una adeguata documentazione scientifica, che accompagni questa perizie.
Non sono stati così rari i casi di controversie giudiziarie, di pronunce di tribunali, di dichiarazioni di falsi ed anche di condanne clamorose come documentato anche in diversi libri ( dallo stesso Elia Santoro ai più recenti studi del prof Renato Meucci )
D - Cosa si potrebbe fare per eliminare questo problema ?
Anche in questo caso l’ANLAI ha più volte indicato l’opportunità di costituire magari a Cremona specie ora che si inaugurerà il Museo del Violino un Collegio Peritale internazionale costituito da studiosi e liutai (anche italiani) famosi e importanti che, con l’ausilio dei laboratori universitari, supporti le certificazioni.
Un Collegio di esperti nei vari campi che accettino di far parte di questo organismo scientifico e che siano remunerati ma non certo con percentuali sul valore attribuiti agli strumenti che potrebbe divenire il vero “ faro” dell’expertise mondiale proprio grazie alla collegialità e soprattutto grazie alla documentazione scientifica .
In questa saezione affrontiamo anche i possibili progetti di Dubai e San Pietroburgo.
LO STAGE DI CARLOS ALBERTO DUNCAN ( Colombia) UNIVERSITA° DI PATIGI si è concluso con la seguente tesina di laurea
La formation des Strumentai, le contexte formatif de la lutherie crémonaise
Carlos Alberto Ducón Niño
Mémoire pour
M2 Sciences de l’Éducation
Mention
Coopération Internationale en Éducation et Formation
Sous la direction de
Roger-François Gauthier
Université Paris Descartes
2015-2016
« Les anges plus éclatants (quand ils encerclent les figures de la sante vierge Marie, du Christ ou des saints triomphant) pour exprimer le mouvement harmonieux des cieux sont représentés, portant dans leurs mains des luths, des orges ou d’autres instruments de musique. Peut-être dans le paradis il y a des ateliers de lutherie, mais dans le doute, je préfère penser que l’art de construire des instruments de musique soit un don de l’homme que les anges envoient : parce que si divin est l’art, humain est le métier »
(Cologni, 2008, p.8)
À mon épouse, À mes parents,
À mon frère et mes sœurs,
À mon oncle Vicente,
À eux, qui ont su me guider,
Qui ont su m’aider,
Qui ont su m’encourager quand il fallait
Et que continuent à le faire. Et bien évidement,
Aux luthiers colombiens.
Table des matières
1. Définition du sujet de recherche .............................................................................................. 4
Question de départ ..................................................................................................................... 4
Question de recherche ................................................................................................................ 4
Objectif ........................................................................................................................................ 4
Objectifs généraux...................................................................................................................... 4
Hypothèse .................................................................................................................................... 4
Terrain de stage .......................................................................................................................... 5
Méthodes et techniques .............................................................................................................. 6
Problématique .................................................................................................................................. 7
A. La Lutherie .............................................................................................................................. 7
Crémone et l’Italie dans le monde de la lutherie ...................................................................... 9
Métier d’art ............................................................................................................................. 17
B. Les corporations............................................................................................................... 23
C. Les actuelles possibilités formatives en lutherie ........................................................... 35
Patrimoine immatériel de l’humanité : Le savoir-faire traditionnel des luthiers crémonais .............................................................................................................................. 40
Système éducatif et législation sur la formation professionnelle en Italie ....................... 55
Contexte formatif en lutherie à Crémone........................................................................... 58
Conclusion ................................................................................................................................. 67
Bibliographie............................................................................................................................. 68
1. Définition du sujet de recherche
Question de départ
De quoi se compose le contexte formatif en lutherie de la ville de Crémone ?
Question de recherche
Comment l’évolution de la facture instrumentale et les stratégies de transmission du savoir- faire luthiers se manifestent dans le contexte formatif crémonais ?
Objectif
Acquérir une vision complète du contexte formatif en lutherie à Crémone à la lumière de
l’histoire et l’évolution du phénomène formatif.
Objectifs généraux
- Répondre à la c’est que la lutherie.
- Analyser l’histoire de la facture instrumentale.
- Identifier les moments et pratiques formatives en facture instrumentale au long de
l’histoire.
- Focaliser sur la réalité professionnelle et formative de la lutherie à Crémone.
- Décrire le contexte formatif en lutherie à Crémone.
Hypothèse
En Crémone il y a un contexte formatif propre à sa tradition centenaire dans l’exercice de
la lutherie.
Terrain de stage
Mon stage a eu lié à Crémone, ville italienne de la région lombarde et capitale de la province homonyme. Cette ville est mondialement reconnu par sa tradition luthière, regorge d’histoire et indivisible du « mythe » d’Antonio Stradivari.
L’organisme qui m’a accueilli est ANLAI (Association Nationale de Lutherie Artistique Italienne), établie à Crémone, une organisation à but non lucratif, dont l'objectif est la promotion culturelle, dans les champs de la lutherie et la musique.
ANLAI, tout au long de son histoire a fait des expositions, conférences, concours et soutien à des activités diverses connexes à la lutherie et la musique, visant leur renforcement. A mon arrivée dans l’association se préparait le X Concours National de Lutherie ANLAI, dont la remise de prix et exposition des instruments participant se sont faites du 14 au 29 mai 2016, dans le Château des Sforza de Milan. Cela grâce au partenariat avec la Fondation Antonio Carlo Monzino et son projet « le mani sapienti/les mains savantes ».
Par mon initiative ANLAI en partenariat avec l’Association Latino-Américaine de Crémone préparent une exposition itinérante (Crémone, Rome et Sesto fiorentino) d’instruments construit par des luthiers d’Amérique centrale et du sud, aussi avec un espace pour les différentes écoles présentes sur ce territoires ; différentes écoles et environ une trentaine des luthiers ont confirmé leur participation.
Récemment ANLAI a fermé avec un grand succès1 ses derniers concours à Rome, dans le Conservatoire Sainte-Cécile. Le Concours International de Lutherie Contemporaine (luthiers professionnels) et le 1° Concours International Ville de Rome (luthiers non professionnels).
Ces évènements comme le manifestent les maitres luthiers crémonais, dont Massimo
Ardoli, Davide Sora et Giorgio Scolari, servent comme impulsion dans la formation des
élèves (les confrontant avec d’autres luthiers et les poussant à une fois dépistes leurs
1 Article dans The Strad Magazine : http://www.thestrad.com/cpt-latests/santa-cecilia-international- violin-making-competition-announces-results/
éventuelles fautes, les surpasser) et comme porte pour gagner en visibilité dans l’exercice
professionnel.
L’association épaule des projets de recherche connexes à la lutherie comme celui de Luca Alessandrini, étudiant en master Innovation Design Engineering Programme, l’Imperial College et leRoyal College of Art de Londres, qui s’est diplômé cette année, son mémoire porté sur l’application de biomatériaux dans son cas en construisant des prototypes de
‘violon’ d’un tissu rigide à la base de toile d’araignée. Cet projet à fait la une des médias spécialisés et d’autres comme BBC2.
Pareillement que comme dans le cas d’Alessandrini, ANLAI m’a reçu et m’a mis en contact avec les organismes du secteur. L’association a été une fenêtre ouverte au panorama de la lutherie dans « la ville du violon ».
En outre Gualtiero Nicolini, président de l’association fut professeur à l’Istituto Stradivarim durant des décennies, il et aussi auteur des livres sur la lutherie, dont deux sur l’institut.
Méthodes et techniques
Des sources diverses sont invoquées dans ce travail, notamment des documents écrits reliés directement au sujet. Également, sont mobilisées des expériences vécues au fur et mesure de l’avancement du stage, des conversations et entrevues fait auprès des personnes impliquées, du monde professionnel comme du monde académique.
Le terme Strumentaio, proposé par Renato Meucci, comme étiquette qui regroupe tous les professionnels de la facture, permettant la dissociation avec le terme luthier qui par son
étymologie est plus restreint.
Problématique
A. La Lutherie
D’après l’encyclopédie en ligne Treccani la lutherie est l’ « art de construire des instruments de musique à corde. Ce mot est issu de luth, mais cette acception est moderne et elle fut introduite lorsque le luth avait presque disparu de la pratique musicale. Dans la deuxième moitié du XVIIIe siècle la signification de ce terme devint plus ample jusqu’à ce qu’il comprend l’art de fabriquer des instruments de musique en général » (Vatielli, 1934).
L’organologue et professeur Renato Meucci propose la reprise du terme Strumentaio pour désigner les constructeurs d’instruments de musique de tout type, choix qu’il argumente par le fait que celui peut s’étendre à des artisans ayant affaire à tout type d’instruments. Cette étiquette est applicable de la même manière que celle de ‘facture instrumentale’ en France, pour se référer aux disparates métiers de construction, réparation et restauration des instruments de musique. Il propose ce terme qu’il assure dans un certain moment a été formulé, son choix le justifie pour avoir un référent terminologique qui permette de se concentrer sur la figure des sujets qui exercent cette famille des métiers.
En outre, dans son livre « Strumentaio. Il costruttore di strumenti musicali nella tradizione occidentale », il met l’accent sur son intention d’étudier l’univers des professionnels, et non plus comme d’habitude l’étude des objets par eux produits. Ce travail donne plusieurs pistes sur l’évolution de la figure du luthier (Strumentaio), passant par le relate des différentes époques, le contexte économique où la facture instrumentale s’est développée et bien sûr ce qui est le plus relevant pour cette étude, les différents systèmes formatifs sous lequel s’est déroulée la transmission des savoir-faire des strumentai.
Les praticiens de métiers d’art, où la lutherie est classée, restent « humbles », selon les
critères d’Everett Hughes. Ils sont à cheval de la figure de l’artisan avec une forte
spécialisation et celles de l’artiste, qui les mets à l’ombre, « on dirait qu’un éclipse tel est corollaire de l’égocentrisme typique de l’artiste même, et qu’une injustice des semblables gravités se perpétue aussi de nos jours : dans le rapport entre designer et maîtres d’art, par exemple, célébrés comme stars les premiers, pratiquement négligés les seconds » (Cologni,
2008, p.9). Avant la modernité, ces figures s’entremêlaient et partageaient des espaces communs de formation et travail.
Au fil du temps la facture instrumentale s’est transformée, à cause des exigences musicales, esthétiques et productives. Aujourd’hui les instruments d’auteur se font de plus en plus rares, le lien avec la tradition a été déplacé par la production en masse et la standardisation. Crémone résiste encore à cette tendance avec une structure formative, productive et gouvernative pour en faire face en tentant se maintenir fidèle à la tradition. La section suivante présente sommairement la perception actuelle de cette ville pour procéder plus avant à approfondir dans son organisation.
De sa part, « la lutherie s’industrialise dans la deuxième moitié du XIXe siècle, tout en restant essentiellement réalisée par des artisans d’une grande dextérité, la production en série s’organise autour de centres comme Mirecourt, Mittenwald, Markneukirchen et Schönbach, où les ouvriers produisent à la tâche des pièces détachées qui sont assemblées ensuite » (Houssay, 2012, p.65). Entre ces centres Mirecourt et l’un des plus dynamiques, il suffit de rappeler, en guise d’exemple, les efforts de Charles Bazin dès 1974 jusqu’en
1981, pour que le mot « archetier » était reconnu est inclus dans le vocabulaire français
(Klein, 2012).
Cette ville des Vosges a été marquée par l’artisanat d’art, même avant de la lutherie, la
dentellerie occupait une place capitale dans sa vie économique. Klein signale que le
« couple typique mirecortien » était la femme dentellière et l’homme luthier. « Le violon est au départ, semble-t-il, fabriqué par les musiciens, puis les ébénistes prennent le relais pour donner naissance à des lignées de « faiseurs d’instruments » (…) le terme « luthier » apparaît en 1728 dans les archives locales. Tout d’abord attribué aux maîtres, il mettra une dizaine d’années à s’imposer à tous les membres de la profession » (Klein, 2012b, p.110).
Les instruments ont et font part de la ville, pas seulement, ceux du quatuor, aussi les guitares et des instruments mécaniques comme la serinette. Un grand nombre des luthiers
mirecourtien sont allés travailler à Paris, l’un des centres historiques de la lutherie, exceptant la période révolutionnaire. Monsieur Etienne Vatelot (précurseur du Lycée Vuillaume) provient d’une de ces familles.
En France différents centres de formation s’occupent de la facture instrumentale, on y
trouve.
- Le Lycée Jean-Baptiste Vuillaume – École Nationale de Lutherie, la fin de formation y est sanctionnée par un DMA de Lutherie (Diplôme des Métiers d’Arts)
- Ecole Internationale de Lutherie d'Art Jean-Jacques Pagès (France)
- Itemm - Institut Technologique Européen des Métiers de la Musique (France)
- Centre de Formation Les Aliziers
Les deux premières se trouvent à Mirecourt, étant privée la deuxième.
Montpellier demeure de même un France, l’une de villes plus importantes pour la lutherie, par la concentration d’ateliers par rapport au nombre d’habitants, bien sûr après Crémone (Neureither, 2008)
Crémone et l’Italie dans le monde de la lutherie
«L’Italie a toujours exercé une sorte de fascination sur le monde de la culture par son éblouissante floraison artistique due au sens inné de la beauté. Au XVIe siècle déjà, François 1er avait invité les artistes de ce pays à venir s’établir en France. Dans le domaine musical notamment il confia su violoniste Baldassare Belgioso la charge de créer un ensemble instrumental pour sa cour, au luthier Andrea Amati, celle de construire les instruments nécessaires et de transmettre aux facteurs français les secrets de son art »
(Milliot, 2012, p.119)
Dans la même teneur de cette citation, Flavio Valeri (2014), cite Gio Ponti, qui affirmait
« « ce n’est pas le ciment, ce n’est pas le bois, ce n’est pas la pierre, ce n’est pas l’acier, ce
n’est pas le verre l’élément le plus résistant. Le matériau plus résistant en Italie c’est l’art » [à cela, Valeri ajoute] et les métiers, naturellement que à l’art donne une forme parfaite » (p. 10). L’Italie constitue un archétype de la production artistique et celle artisanale, qui dans d’autres moment de l’histoire y cohabitaient en parfaite harmonie, cet argument conjointement au rôle des artisans d’art qui font possible la concrétion des manifestations artistiques devrait nous mener à repenser notre perception de tels métiers. Qui participent fortement à la constitution du tissu culturel et économique des communautés qui leur accueillent.
À cet égard, je veux rebondir sur le métier qui nous intéresse, on a que, c’est la lutherie italienne, qui dans la facture instrumentale et par son évolution bénéficie d’«une structure culturelle, sociale, économique et didactique d’indiscutable prestige » (Battaglia, 2009, p.53). « La lutherie est une activité d’haut artisanat qui a trouvée il y a cinq cents ans à Cremone son habitat idéal pour se développer » (Scolari, 2014, p.101), elle est porteuse de l’image de la ville qui est indissoluble des grands noms de l’âge d’or de la lutherie classique, dans les modernes ateliers la qualité et la valeur des instruments sont les témoins de cet héritage qui a pu se perdre, nonobstant, grâce à l’engagement des citoyens crémonais et l’impulsion politique a été récupérée, cristallisé sous la forme de l’école internationale de lutherie.
École qui dynamise depuis sa création la vie de cette ville lombarde. Elle attrait des luthiers, étudiants, touristes, musiciens et passionnés de la lutherie classique.
Le violon et les instruments de sa famille, qui continuent encore à être construits majoritairement avec des méthodes artisanales porte avec soi un charme quasi exotérique. Pourtant, on ne connaît pas, ou encore mieux, on ne peut pas attribuer la paternité du violon à quelqu’un de particulier, comme on prétend de le faire, qui est en effet produit des transformations successives qui on continuer même après la mort des grands luthiers de la première moitié du XVIIIe siècle, il ne manque qui a voulu penser à Leonardo da Vinci pour son ‘invention’, mais c’est surement en Italie où le violon a atteint sa forme ultime (Meucci, 2008).
L’Italie excellant dans l’art de la lutherie et en tant que référence mondiale du métier
présente la plus forte concentration mondiale des centres de formation liés à la facture
instrumentale et ateliers de luthiers. (Nicolini & Nicolini, 2014) dans leur livre “La Sgorbia e il Rossetto”, ont fait une synthèse des écoles de lutherie présentes sur le territoire italien, comme ils les signalent, deux des plus importantes se trouvent en région Lombardie : L’Istituto di Istruzione Secondaria Superiore Antonio Stradivari (institut d’instruction secondaire supérieure) à Cremone et la Civica Scuola di Milano, à Milan, également, toujours à Crémone on trouve une école privée qui a vu récemment le jour, l’Academia Cremonensis. En Émilie-Romagne : La Scuola Internazionale di Liuteria di Parma et la Bottega di Parma (privée) à Parme, et la Scuola Pievecentese à Pieve di Cento. En Toscane, il y a la Scuola di Liuteria Toscana Fernando Ferroni, à Sesto Fiorentino. En Umbrie, la Scuola di Liuteria di Gubbio à Gubbio. En Calabre la Scuola di Liuteria di Bisignano à Bisignano. En Latium l’Accademia Romana di Liuteria, à Rome.
Il y a deux incontournables à ne jamais négliger : la ville de Crémone, dans la Lombardie,
« lieu fortement lié depuis toujours à la musique et célèbre partout dans le monde pour l’excellence de ses luthiers »3, et l’un de ses plus célèbres notables, Antonio Stradivari, que l’ « on croit a donné la mesure de la grandeur du luthier crémonais » (Puerari, 1972, P.16). Il suffit de se promener par les ruelles de cette ville italienne, jeter un coup d’œil aux magasins et tout à fait aux ateliers des luthiers. On y constate, même aux magasins de chaussures ou de lingerie, la forte présence de la lutherie dans la vie courante, les magasins décorent leurs vitrines avec des morceaux des violons ou autres instruments (généralement du quatuor), on trouve des silhouettes des violons imprimées dans les emballages des tourons des confiseries locales. Le lien entre la ville et la lutherie est incontestable par son histoire des siècles en développant la lutherie, qui a été reconnue en 2012 par l’Unesco, comme appartenant dorénavant à la liste du patrimoine immatériel de l’humanité.
Au cours des derniers siècles l’histoire de la lutherie et celle de la ville se sont fondé jusqu’en faire une seule et unique. Connue comme la ville du violon ou bien la « Capitale Mondiale de la lutherie », c’est ce qu’assurent l’office touristique de la ville et la maire sur leurs sites internet. Parler de Crémone c’est aussi parler de la lutherie, de ce « monde si
typiquement italien et surtout si typiquement crémonais » car « musique et lutherie ne
furent jamais étrangères à la vie citoyenne et encore moins patrimoine de quelques peu isolés, elles furent la culture crémonaise elle-même » (Bissolotti, 2000, p13). Pour argumenter de ce que la lutherie représente pour la société crémonaise, dans sa fiche de candidature pour l’inscription sur la liste représentative du patrimoine culturel immatériel de l’humanité de l’Unesco en 2012, la mairie disait, « Aujourd’hui la lutherie traditionnelle est l’élément qui caractérise le plus Crémone et l’identité de ses habitants »4.
Andrea Amati est considéré comme la clé de voûte de la lutherie a Cremone, c’était probablement lui, le précurseur de l’école de lutherie dans cette ville lombarde, lui, ou bien Giovan Marco Busseto (Vatielli, 1934). De toute manière Andrea Amati et sa famille sont surement dans le piédestal de l’école de Crémone par la place qu’ils et leurs disciples ont su se procurer, comme disciples on compte Andrea Guarneri, les Ruggieri, Giambattista Rogeri, Domenico Montagnana, Paolo Grancino, Goffredo Cappa di Saluzzo et d’après quelques auteurs, aussi Antonio Stradivari, le « plus grand facteur de la lutherie » que
« dans l’an 1700, celui de sa plus grande production. Sa notoriété s’était désormais répandu partout en Europe et, à côté des considérables gains, il rapportait souvent des commandes aux banquiers, prélats, princes et maisons royales » (Vatielli, 1934).
Ainsi, dans le très célèbre livre des frères Hill, en tentant de reconstruire les premiers pas de Stradivari, ils soutiennent qu’il a suivi instruction chez Nicolò Amati, « à qui ses parents se seraient-ils adressés, sinon à Nicolò Amati ? (…) il n’existait pratiquement pas d’autre choix » (Hill, Hill, Hill, Beck, & Wurlitzer, 1963, p.29). Ce dernier brillait entre les maîtres luthiers de l’époque en Italie, en plus dans l’étiquette de l’un de premiers violons dont la construction est attribué à Stradivari, on trouve l’enseigne "Nicholai Amati alumnus". Bien qu’il le soit été ou pas, son influence est incontestable (Houssay, 2012). Selon Vatielli, (plein d’autres auteurs, n’y sont absolument pas d’accord) ce grand maître, pareillement aux Amati a passé le relais à des nombreux luthiers qui ont fondé les diverses écoles de
lutherie italiennes et étrangères par formation ou influence. Vatielli assure que parmi les
4 DOSSIER DE CANDIDATURE N°00719 POUR L’INSCRIPTION SUR LA LISTE REPRESENTATIVE DU PATRIMOINE CULTUREL IMMATERIEL DE L’HUMANITE EN 2012. Département pour la culture et les musées. Consulté le 13 avril 2015 sur http://www.unesco.org/culture/ich/doc/download.php?versionID=16814
meilleurs apprentis de Stradivari on peut citer Carlo Bergonzi qui prendra en charge
l’atelier du ponte de la lutherie.
Quoi qu’il en soit, on apprend par les registres de la ville de Crémone que Stradivari, vivait sous le toit du sculpteur Francesco Pescaroli, qui apparemment, dans un premier moment lui a permis de construire des violons dans son atelier, pour des raisons encore à dénicher (Biddulph & Chaudière, 2008). Des instruments décoré des Amati ont pu passer par l’atelier de Pescaroli, de sorte que comme l’affirme Frédéric Chaudière dans un entrevue avec Frédéric Lainé, Stradivari a pu profiter de sa formation de sculpteur, en proposant des innovations, pour se lancer dans l’exercice de la lutherie, qu’à l’époque jouissait d’une plus grande réputation que la sculpture, c’est ainsi que lui menaça le monopole des Amati, pour ensuite s’ériger comme le prototype de l’époque d’or de la lutherie crémonaise. Si les détails de sa formation nous sont étrangers, ceux des possibles élèves ne sont pas clairs, non plus, en dépit des nombreuses étiquettes des luthiers affirmant avoir été ses élèves, comme l’indiquait lors de notre entrevue dans son atelier, le maître Claudio Amighetti, Stradivari n’aurait eu d’autres élèves que ses fils et une éventuelle intervention de Carlo Bergonzi dans son atelier, probablement après la mort de ses fils, opinion partagé par le maître Chaudière, suite à ses recherches sur le maître crémonais.
En tout cas, le responsable de la survie et du renom de la lutherie crémonaise semble être Nicolò Amati, « un modèle pour toute la lutherie européenne, et cela pour plusieurs raisons ; né à la troisième génération d’une dynastie de luthiers très reconnus, il profita de leur enseignement et de leurs réseaux. Puis, il forma beaucoup de luthiers de la génération suivante et eut une influence durable grâce au fait qu’il survécut à la peste de 1630 qui décima le tiers de la population de la ville. Sans doute la lutherie crémonaise se serait arrêtée s’il n’y avait pas survécu » (Houssay, 2012, p.46).
Crémone, comme le souvient Renato Meucci serait au premier rang de la lutherie, en prenant le relais de la Brescia de da Salò et Maggini. Cela grâce à Andrea Amati et les trois générations qui ont été formées sou la méthode de celui-là, et bien évidement « grâce à l’œuvre productive et didactique du grand fils, Niccolò », (Nicolini & Scolari, 1985), dans leur livre « Come nasce un violino », et dans d’autres de ces écrits signalent que cette
période « dorée » ne dura que peu après la morte d’Antonio Stradivari, commençant son déclin vers 1750 (Battaglia, 2009) et dont la fin coïncide avec la Mort de Gio Battista Ceruti en 1817, pour passer à une phase ‘obscure’ de plus de cents ans.
Le renouveau, comme affirme Nicolini, avait été cherché par des diverses tentatives, des divers citoyens proéminents de la ville. Mais il ne parvint une réalité que grâce au hiérarque fasciste Farinacci, qui ayant les faveurs économiques de Mussolini a pu réaliser ses « folies crémonaises », « justement à Crémone, en effet, eut lieu la répétition générale de la marche sur Rome » (Nicolini, 2008, p.14). Conséquemment, les évènements du bicentenaire de la morte d’Antonio Stradivari, 1937, ont été une belle réalité, qui déboucha sur l’inauguration du Musée Stradivarien et l’année suivante, sur la création des cours de lutherie à l’origine de l’école.
Cette école progressivement attirait l’attention d’importants luthiers, italiens et non italiens.
Entre les non italiens ont se souvient du hongrois Peter Tatar, et son légendaire périple, dont la plupart a été faite à pied, pour arriver à Cremone en 1933, un peu trop tôt pour trouver l’école et dans un moment non propice non plus pour les ateliers de lutherie, c’est pourquoi il débuta sa formation à Milan , pour conclure à lé jeune école de Crémone en
1943, et en devenir, peu après, l’un des enseignants plus notables. L’histoire de Fernando Simone Sacconi par rapport à la ville, même si romain est aussi pleine de difficultés, en raison du contexte politique, étant juif, il n’accepta pas le poste de professeur et immigra aux États-Unis pour une fois l’ère fasciste terminé, retourne en Italie de temps en temps, sans jamais laisser les États-Unis, pour mettre son grain de sel, définitif pour assurer à l’école sa réputation, en découvrant tel que son livre l’indique : « I « secretti » di Stradivari » / « Les « secrets » de Stradivari ». Ce livre signale la récupération des méthodes de Stradivari, il est produit des études fait par Sacconi avec les outils de Stradivari, qui sont encore gardés, dans sa première maison, « les trésors de Stradivari », cette méthode est l’essence même de la méthode classique cremonaise, voir (Bissolotti, Marco Vinicio, 2000).
La notion de secret est centrale dans la transmission du savoir-faire en lutherie, comme elle l’est dans d’autres secteurs de l’artisanat. Par conséquent, elle sera abordée dans la section du savoir-faire.
L’école est responsable de la formation d’un nombre importants de luthiers, italien et étrangers. Déjà, « à la fin des années 70 l’école avait diplômé 71 élèves de 15 pays différents, qu’ont décidé ultérieurement de vivre et travailler dans 17 pays du monde et les nouvelles inscriptions d’élèves en provenance de 31 nations parvenait déjà les 328 » (Nicolini, 2008, p.62). En plus, Nicolini souvient les initiatives effectuées à l’école sous la direction de Sergio Renzi, pour créer de liens avec l’international par des expositions qui ont permis des échanges culturels et commerciaux, avec l’Espagne, le Singapour, la Chine, la Corée du Sud et le Cuba. Et plus récemment, en 2005 et 2007 les visites au Musée de Nuremberg, à l’École de Mittenwald, à la Newark Violin School, la Cité de la Musique à Paris et le Centre de Musique Barroque de Versailles.
En dépit de la notoriété de la lutherie du quatuor et de la formation ad hoc, le panorama des strumentai en Italie est plus vaste. Meucci nous parle de la production des accordéons diatoniques à Castelfidardo, les instruments à vents de laiton de Quarna Sotto et Macerata, les pianos mécaniques à cylindre de Novara, environ 60 ateliers pour la construction d’orgues, environ 10 pour les campanes, les instruments à percussion de Pistoia (UFIP), Turin et Teramo, les pianos à Fermignano (Schulze Pollman) et les harpes de l’entreprise Salvi (le leader mondial dans ce marché), pour laquelle je veux faire une parenthèse, puisque grâce à la femme de son fondateur Victor Salvi, qui est colombienne, en Colombie ont débuté depuis 2011 des petits stages pour les luthiers en exercice et maintenant pour des débutants dans les secteurs du quatuor et instruments à vents.
À noter Anne Houssay et d’autres comme Meucci, assurent que l’Italie a bénéficié du fait de sa réputation, d’un grand nombre des luthiers allemands immigrés, notamment de Füssen, l’une des villes les plus importantes dans l’histoire de la lutherie, qui serait mentionnée plus tard, ils échappaient alors des horreurs de la guerre (celle des trente ans
1618-1648). Une grande proposition de ces immigrés est arrivée dès un jeune âge, pour
faire l’apprentissage, par exemple à Venise, ou, comme il semble être le cas du célèbre
Jacob Stainer à Crémone et dans d’autres villes. Beaucoup d’entre eux, ont italianisé leurs noms, c’est pourquoi il n’est pas évident de retracer leurs histoires d’une manière exhaustive, ce phénomène de l’italianisation des noms ne leur est aucunement exclusive, Gustave Bazin, comme d’autres luthiers français, a italianisé son nom (Klein, 2012).
« Un grand nombre des artisans d’origine germanophone (Füssen, Augsbourg, Mittenwald, Rosshaupten, Bernbeuren, Autriche, Suisse) sont arrivés s’installer à Rome, dans la « via dei Leutari » (…) il semblerait qu’au début du XVIIe siècle à Rome les corporations germaniques les plus importantes aient été, avec celle des boulangers, celle de luthiers » (Lebet, 2012, p.82). On trouve dans ces luthiers, parmi autres : Magno Graill, Martin Rethausen, David Tecchelr, Giovanni Tanningard et Matteo Indelangh. Les premiers arrivés, se sont consacrés à la construction des cordes pincées. L’école romaine sera connu après par la facture de violoncelles.
La lutherie italienne historiquement a été considérée comme excellente, étant imité, admirée et à l’origine des écoles d’autres pays. Par exemple, l’école Nationale de Lutherie de Québec, grâce au maître Sylvio de Lellis ; en Argentine, l’École de lutherie de l’université de Tucumán, créée par Alfredo del Lungo, ou celle de Franco Ponzo à Buenos Aires. En France, Jean-Baptiste Vuillaume au qui on a nommé le lycée professionnel qui forme les luthiers français, « valorise la lutherie italienne, forme des nombreux luthiers, dépose plusieurs brevets et collabore avec des musiciens renommés, dont le célèbre Niccolo Paganini » (Klein, 2012b, p.111). La lutherie française prend de celle italienne, certes, mais aussi de celle allemande, n’oublions pas Kaspar Tieffenbrucker, installé à Lyon (originaire d’une des familles émigrées de Füssen, dont les membres s’étaient installés dans des villes Italiennes).
D’une façon ou d’une autre, la France a excellé en matière luthière, et a par ailleurs créée sa propre méthode, « à la française », connu aussi comme « forme interne », qui dans la ville de Stradivari engendra des fortes frictions, à traiter dans la section consacrée à l’Istituto Stradivari. Nicolas Lupot, surnommé le « Stradivari français » est l’un des plus prééminents des luthiers français, d’origine mirecourtien, à l’instar de Vuillaume. Mais, dans le cas de Mirecourt (dont la tradition luthière a probablement été initiée par
l’enseignement du luthier italien Tywersus), « ne dit-on pas communément « que Mirecourt est à l’archèterie, ce que Crémone est à la lutherie » ? » (Klein, 2012a, p.83), et en effet, l’archet moderne est l'œuvre du mirecourtien François Xavier Tourte, qui en a créé une école (dans le sens de tradition et formation) Étienne Pajeot, Dominique Pecatte et François Nicolas Voirin, plus tard Bernard Ouchard, ancien professeur d’archèterie au Lycée Vuillaume (de 1971 à 1979, date de sa mort et de la fermeture de la section archèterie) et la famille Bazin, figures centrales de la lutherie et archèterie français, et en surplus, actifs militants pour la défense du métier et de la pédagogie en lutherie et musique.
Métier d’art
Les métiers d’art s’inscrivent dans une logique qui traverse la tradition, les techniques et la relation avec un territoire. Ils sont témoins de la culture de l’endroit où ils se trouvent et participent activement à dynamiser son économie. La lutherie,« fleuron des métiers d’art, moins connu du grand public mais pourtant aussi réputée que la haute culture » (Albert,
1997, p.4), en fait partie. L’Italie et la France occupent une place prépondérante dans ce métier spécifique et également sont pionniers dans la construction du discours des métiers d’arts et leur encouragement.
Artiste et artisan, après les vagues de l’industrialisation et devint une dichotomie, les limites où l’un commence est l’autre termine ont été établis dorénavant. Le premier glorifié, le second, presque dénigré, on dit que, « par opposition à l’art, l’artisanat est perçu comme le respect d’une tradition, la résultante d’un apprentissage, d’un savoir-faire. L’artisanat se caractérise par des produits accessibles en termes de prix et de technique (« il y a un apprentissage, on pourrait apprendre à faire pareil ») » (De Barnier & Lagier, 2012, p.11). Pourtant, les métiers d’art, bien qu’il appartienne au univers de l’artisanat, présente des frontières un peu plus flou.
« L’artisan d’art alliant ressources intellectuelles et manuelles fabrique des objets, fruits d’une alchimie subtile entre esthétique et rigueur technique qui conservent le plus souvent une fonction utilitaire » (Dumas, 2009, p.1). Chez lui, coexistent des habiletés manuelles qui expriment de sa sensibilité, pour répondre aux attentes du commanditaire, suite à un processus de filtrage de ces acquis, propres au métier, pour satisfaire la demande, tout en
se montrant respectueux des processus d’usage de son art, le plus souvent enracinés à une tradition lointaine, et à finalité utilitaire. Cela ne exclut pas qu’il y est de l’innovation, mais la tradition opère comme une sorte de carcan qui fait que les innovations soient intégrées plus lentement, au fur et à mesure que les exigences liées a la fonction (dans le sens utilitaire) du produit changent.
De surcroît, ils sont généralement une composante importante du territoire d’accueil, pas toujours en tout cas. Ils font partie de l’identité de la communauté, comme il est clairement le cas de la lutherie à Cremone ou à Mirecourt, participent activement à l’identité culturelle et économique dudit territoire. C’est donc pour cela que les professionnels en métiers d’art agissent comme protecteurs d’un patrimoine à conserver.
Une longue période d’apprentissage s’impose pour l’exercice des métiers d’art. C’est l’artisan qui connaît les plus infimes détails pour la réalisation du produit, qui s’approprie des techniques grâce au travail continuel, qui est en capacité de transformer le(s) matières en un produit terminé, destiné à être utilisé à un but précis, un produit beau, qui demande des longues heures du travail, ce qui fait que sa production ne soit pas nombreuse, le prix élevé, du fait qu’il doit rétribuer le travail, connaissances, habileté et temps du facteur, qui y « laisse un peu de soi ».
« La passion du travail irréprochable est la règle d’or des professionnels des métiers d’art : le savoir-faire est très précieux ; il résulte presque toujours d’un long apprentissage et d’une importante pratique. Aptitudes techniques, habileté manuelle, culture artistique et imagination caractérisent ces professions. Aux activités propres d’un métier d’art s’ajoutent souvent des activités collatérales : enseignement, recherche, expertise, restauration ou encore des activités commerciales. L’artisan peut également proposer des produits offrant une très bonne finition situés à la croisée de l’art »
(Dumas, 2009, p.2)
En France les métiers d’art ont parcouru un long chemin, ils participent d’une manière décisive à l’économie et ce pour cela que le pouvoir public s’y est intéressé depuis les temps de Colbert. En 2009, le premier ministre demanda à la sénatrice Catherine Dumas de faire
un rapport sur les métiers d’art, afin d’avoir un panorama claire et prendre les mesures
nécessaires pour leur renforcement.
Source : Martin, J.-C. (2008). Les métiers d’art. Ministère de l’Économie, de l’Industrie et de l’Emploi -Direction du commerce, de l’artisanat, des services et des professions libérales. Consulté à l’adresse http://archives.entreprises.gouv.fr/2012/www.pme.gouv.fr/informations/editions/etudes/bref_33_bd.pdf
Dans son rapport, Dumas avertie de la difficulté de définition des métiers d’art. Dans leur richesse, ils sont hétéroclites, pour cela elle propose deux possibilités de définition, les premières formulées : 1. « par critères de définition », 2. Sous la forme d’une liste. Les critères répertoriés ci-dessous ont été formulés en 1976 par Pierre Dehaye.
présentant un caractère artistique »
La liste des métiers d’art de 2003 de Renaud Dutreil, qui « comprend 217 métiers, classés en 19 domaines définis selon le matériau (bois, cuir, métal, pierre, terre, textile, verre) ou l’activité (art floral, arts du spectacle, arts et traditions populaires, arts graphiques, arts mécaniques, jeux, jouets, bijouterie-joaillerie orfèvrerie-horlogerie, décoration, facture instrumentale, luminaire, métiers liés à l’architecture, mode, tabletterie) » (Dumas, 2009, p.5). Cette liste, qui est décrite dans le rapport comme à compléter, est abrogée par l’Arrêté du 24 décembre 20155, qui a fixé une nouvelle liste, qui comprend 16 domaines d’activités (de l'architecture et des jardins ;de l'ameublement et de la décoration ;du luminaire ;de la bijouterie, joaillerie, orfèvrerie, horlogerie ;du métal ;de la céramique ;du verre et du cristal ;de la tabletterie ;de la mode et des accessoires ;du textile ;du cuir ; du spectacle ; du papier, du graphisme et de l'impression ; des jeux, jouets et ouvrages mécaniques ; de la facture instrumentale ; de la restauration), pour un total de de 198 métiers, subdivisé à leur tour en 83 spécialités.
Cette grande diversité est à l’origine de l’absence d’une définition complète. La sénatrice Dumas souligne qu’en 2009, « les membres du syndicat professionnel Ateliers d’art de France sont majoritairement affiliés à la chambre des métiers (55,4 %) mais également à la Maison des artistes (27,5 %) » (Dumas, 2009, p.6). Il est néanmoins possible de délimiter le champ d’action des métiers d’art, dans le rapport on parle de trois familles : 1. Métiers de tradition ; 2. Métiers de la restauration et 3. Métiers de la création. Les uns plus ancrés aux méthodes ancestrales que les autres, mais avec des professionnels ouverts aux innovations et qui sont bon usage de nouvelles techniques et des Tics.
J’insiste donc sur l’excellence productive des artisans d’art, qui avec une petite production, restent toujours vigilants à la qualité. « Peu compétitifs du point de vue des prix par rapport à leurs deux principaux concurrents – l’industrie et les amateurs – », de cette grâce, ils
« cherchent à imposer la qualité comme variable d’ajustement du marché afin de vendre
leurs produits. L’inscription dans un régime de singularité doit en effet leur permettre de
5https://www.legifrance.gouv.fr/affichTexte.do?cidTexte=JORFTEXT000031941949
justifier des prix de vente élevés afin de couvrir leurs importants coûts de production » (Jourdain, 2010, p.15).
Un « régime de singularité » qui va au-delà des artisans d’art et passe à représenter quelque chose de plus grand, l’image d’une entière nation. Dans le cas Français les métiers d’art ont joui de la faveur des mécènes et des commandes, on peut citer par exemple l’Abbé de Saint- Denis, les roi Henri IV, Louis XIV et Louis XV et la création de la manufacture des Gobelins par Colbert. À l’époque l’influence italienne tait marquée et a aidé à façonner cet univers. Postérieurement avec la révolution ces métiers sont gravement impacté provocant une diminution notable dans le nombre de praticiens, mais à partir de 1801 Napoléon dans l’intérêt de relancer l’économie, entreprend des mesures législatives pour les soutiens des métiers et artisans d’art, Meucci signale, l’estime de l’empereur pour les strumentai. Dés ce moment le système corporatif entame son véritable déclin et la chambre de commerce de Paris voie le jour (Dumas, 2009 ; Meucci, 2008).
Les métiers d’arts occupent une place prépondérante dans l’économie. Soit par ces chiffres
d’affaires que par le nombre de personnes employés, selon le rapport 3,5 milliards d’euros
–rien que pour le volet du luxe, Certes, toute l’industrie du luxe ne fait pas partie des métiers d’art et beaucoup de métiers d’art ne travaillent pas pour le luxe mais, le luxe n’existerait pas sans les métiers d’art (…) les 70 maisons du comité Colbert pèsent presque autant que l’industrie automobile française et dix fois plus que le transport ferroviaire »(Dumas, 2009, p.17)- et 43200 employés en 2005, en plus, avec un effectif jeune, qui garantit la continuation, parce que des artisans d’art « 70% ont moins de 44 ans »(Dumas, 2009, p.16), une bonne représentativité féminine (49,6%).
« Ceux-ci souffrent d’une image négative, liée à la dévalorisation ambiante du travail manuel. Or, au-delà de la simple habilité manuelle, ces métiers exigent de réelles qualités intellectuelles et artistiques. C’est cette intelligence de la main qui n’est pas assez mise en valeur aujourd’hui » (Dumas, 2009, p.32). C’est justement pour cela que le travail des différents organismes s’avère nécessaire, les pôles métiers d’art, les associations et les centres de formation, y jouent un rôle fondamental, et l’Institut National de Métiers d’Art (INMA), avatar de la Société d’Encouragement aux Métiers d’art (SEMA) à partir de 2010, par des initiatives comme le label « entreprises du patrimoine vivant » de 2005 et les
« maîtres d’art », « Créé sur le modèle des « Trésors nationaux vivants » du Japon, le titre
de maître d’art est attribué à vie à des professionnels distingués pour l’excellence de leur savoir-faire » (Dumas, 2009, p.47). Des initiatives qui épaulent et renforcent la transmission des savoir-faire et la valorisation non seulement des métiers, mais aussi des professionnels.
L’INMA, qui a eu comme président dés 1981 à 1996 au luthier Étienne Vatelot (nommé comme « le maître d’art absolu » dans le rapport, qui a eu une cinquantaine d’élèves). L’institut est aussi responsable de la création des Journées Européennes des Métiers d’Art, qui cette année a tenu sa 10ème édition sous la devise « Métiers d’art, gestes de demain ». À l’époque du rapport, Dumas affirme des métiers d’art, que « S’ils font, sur le papier, partie intégrante de la politique culturelle, il semble qu’en pratique, les métiers d’art soient les parents pauvres du ministère de la culture »(Dumas, 2009, p.43), le thème suivant qu’elle aborde est celui de la de l’importance de la transmission des savoir-faire. Cet aspect est jugé capital, mais insatisfaisant, à intervenir et renforcer la « culture générale », le marketing, histoire de l’art, économie, gestion et même en design. Elle propose également la création d’un DSMA (Diplôme Supérieur des Métiers d’Art)6.
« Les arts et métiers recouvrent dans le système politique-institutionnels et juridiques, sociaux, culturels de l’Italie et des grandes aires régionales européennes » (Orgnaghi, 2007, p.7). Dans cette logique s’inscrivent les métiers d’art, qui comme ambassadeurs de l’excellence de la production italienne, par ses savoir-faire, étandent cette fascination au
« made in Italy ». La fondation Cologni et le centre de recherche « arti e mestieri » du
département des sciences politiques de l’Université Sacro Cuore à Milan cherchent depuis
2000 une définition aux métiers d’art, qui dans la péninsule italique débordent de richesse
et qualité, mais le problème c’est en grande partie l’endogène de la production, en effet
11% seulement des entreprises artisanales penser à l’exportation comme possibilité,
« presque 70% des artisans se servent de la vente directe, 15% se sert des société de
exportation/importation, 13% vent par la médiation d’autres entreprises, 9% se sert des
ventes dans le foires et expositions, et seulement un peu plus du 3% du e-commerce. » (Vv,
6 Lien de l’INMA, pour le vocabulaire et diplômes disponibles en métiers d’art en France. http://www.institut-metiersdart.org/formation-metiers-d-art/reperes-formations/lexique-diplomes-et- formations
2007, p.215). La liste des « secteurs de l’artisanat artistique de l’Italie peut se consulter dans la section « Système éducatif et législation sur la formation professionnelle en Italie ».
B. Les corporations
Dans cette section il est question de retracer l’un des systèmes qui a marqué l’histoire de la formation des métiers. Dans un premier temps on abordera les corporations, dans une vision globale, à cet effet, on tire profit du travail de Steven L. Kaplan, « L'apprentissage au XVIIIème siècle : Le cas de Paris ». Pour ultérieurement entre en matière des corporations dans le monde des strumentai, le point de départ est « Strumentaio. Il costruttore di strumenti musicali nella tradizione occidentale » de Renato Meucci.
Bernard Zarca affirme que l’identité des artisans dépend de ces qu’ils partagent avec leurs collègues. De cette sorte, le système compagnonnique jouait un rôle central, les compagnons se voulant les détenteurs de tous les savoirs propres aux métiers, renforçaient les liens par une auto identification comme appartenant à un groupe d’élus, ayant un caractère presque religieux, puisque plein des cérémonies et accordant une forte part de leur essence au sens de la communauté et de la protection réciproque. Il est fort exigent est à caractère fermé par rapport à l’extérieur. Au fil du temps ce système a dû se transformer pour éviter de disparaître et encore aujourd’hui joue ses cartes pour se maintenir comme alternative, ‘en contre courant de l’école’7, en France il existe maintenant trois regroupement compagnonnique qui ont évolué offrant même de formation attestés par des CAP. Non seulement ce système continue à exister mais il a été inscrit en 2010à la liste UNESCO du patrimoine immatériel de l’humanité8.
Dans le corporativisme la « transmission » est une de base, le vrai but était « la fabrication du bon ouvrier. La corporation a un caractère communautaire, elle préconise ses propres normes politiques et morales, elle reste cependant reconnue et surveillée par la société. C’est à elle de décider ceux qui arriveront à bon terme de l’apprentissage pour obtenir la maitrise, ce qui permet à la corporation de garder son pouvoir sur ses membres, et aussi, non moins important, de restreindre la concurrence, pour la préservation du monopole d’exercice.
La hiérarchisation est l’une de ces pierres angulaires. Apprentis, compagnons et maîtres n’y participent pas dans une relation égalitaire, certes tous ont des devoirs, mais les droits ne sont pas les mêmes, l’apprenti est généralement coupé de sa famille, il passe à la tutelle du maître pour vivre sous son toit, dans « l’atelier-foyer », la famille et la communauté participent en tout cas de la cérémonie de passage sous la forme de signature du contrat devant un notaire, à noter que dans les contrats il était dit que le maître est tenu de ne pas
dissimuler rien de ce que l’apprenti est censé connaître dans son apprentissage.
7 À ce propos voir : Palheta, U. (2010). L’apprentissage compagnonnique aujourd’hui entre résistance à la forme scolaire et transmission du « métier ». Sociétés contemporaines, (1), 57-86.
8http://www.unesco.org/culture/ich/fr/RL/le-compagnonnage-reseau-de-transmission-des-savoirs-et-des- identites-par-le-metier-00441
En outre à l’époque du corporativisme il était rare que l’apprenti fût majeur, pour cela il devait compter sur les parents ou des éventuels tuteurs, ‘abandonné’ par accord mutuel, au traitement que les supérieurs hiérarchiques jugeaient correct. L’entrée en apprentissage se faisait la plupart du temps par des connexions avec le métier auquel l’apprenti est destinée, c’est ainsi comme généralement les parents ou tuteurs exerçaient le même, un autre moins prestigieux ou parvenaient aux maîtres par une amitié qui les lier à eux. Les corporations dans la mesure où recrutaient de telle manière son effectif, demeuraient des mondes fermés, presque isolés.
« L’enfant est « mis et obligé » en apprentissage pour un certain nombre d’années
« entières et consécutives », et le maître accepte de « prendre et retenir » son « aprenty » (beaucoup plus rarement son « élève ») pendant cette durée. Dans presque tous les contrats le premier engagement concret du maître concerne le partage du savoir. Il « promet montrer et enseigner sa profession [moins communément son ‘art’] et tout ce dont il se mesle et entièrement en icelle sans luy en rien cacher » » (Kaplan, 1993, p.438-439). Maître et apprenti son donc tenu par contrat à agir d’une certaine manière et à fournir des prestations qui pour le maître inclus, comme souligne Kaplan, dans la majorité des cas le logement, l’alimentation, les habits et sa propreté. Le maître ainsi dévient une « figure paternelle », dont la position dominante est incontestable est renforcée par la situation d’apprentissage.
« Dans beaucoup de contrats le maître promet de traiter son apprenti « humainement » et/ou
« doucement ». Sans doute ce n’est qu’une formule notariale pour bien des maîtres. Mais pour la corporation cet engagement moral joue un rôle capital dans son système idéologique et dans sa représentation formelle d’elle-même » (Kaplan, 1993, p.440). Toutefois, le maître n’était pas le seul à décider sur l’apprenti, les compagnons aussi pouvaient exercer son empire sur lui, qui doit accepter avec complaisance ses traitements et même « se faire aimer d’eux ». Cela s’explique en parti par le fait que l’apprenti apprenait également des maîtres comme il pouvait le faire des compagnons.
D’un autre côté, en ce qui concerne la maitrise, elle pouvait être déclinée de la part du maître quand l’apprenti manquait aux normes de la corporation. Des déviances pouvaient aussi avoir lieu à ce propos, parce que les familles aisées par le biais des déversements des fortes sommes aux maîtres achetaient des années (une ou deux) pour abréger la durée de la formation. Pour les fils des maîtres les corporations ont également dû réglementer, ils
accéder assez tôt à la maitrise, raison pour laquelle des corporations ont pris la mesure de exiger un âge minimum pour recevoir des apprentis pour ces derniers, Kaplan indique que dans certains cas c’était l’âge de seize et dans d’autres l’âge de vingt-huit.
Les salaires pour les apprentis n’étaient pas la norme, en revanche, l’auteur affirme que dans très peu de cas les apprentis étaient payés pour leur travail, des 316 contrats qu’il a analysé 59% étaient non rémunérés. Les apprentis devaient par ailleurs veiller aux affaires et biens du maître, tout à apprendre, mais rien ne diffuser ni des particuliers dans l’atelier du maître ni du métier aux étrangers. Dans la hiérarchie corporativiste l’apprenti n’est pas le seul à éprouver des dommages, « les maîtres se servent des apprentis comme main d’œuvre peu chère et docile à la place des compagnons qui se trouvent en chômage prolongé (…) Les compagnons dans tous les métiers militaient pour une limite au nombre d’apprentis chez chaque maître (…) Sans le vouloir, l’apprenti semble enlever le pain de la bouche des ouvriers. Mais parfois il paraît être le complice plus ou moins volontaire du maître » (Kaplan, 1993, p.447).
L’étude de Kaplan signale que contrairement à ce que l’on pouvait s’attendre, suite à l’analyse des contrats, il pas pu relever une corrélation entre montant payé et prestations d’apprentissage. Par rapport à la durée, l’auteur manifeste « l’apprentissage de 4 années
10 mois » étant comme la moyenne, là, on peut s’attendre à un autre type de corrélation, difficulté du métier/temps, et on atteste que, « en général les apprentissages les plus longs semblent se trouver dans les métiers où l’adresse et l’expérience comptent énormément : 8 ans chez les orfèvres et les horlogers, et 6 ans chez les graveurs, les menuisiers, les selliers, et les tabliers » (Kaplan, 1993, p.451)
Prenant en considération l’âge, comme dit antérieurement, les apprentis étaient notamment
des mineurs. Selon Kaplan l’âge minimum allait aux alentours des 12 ans, jusqu’aux 16 ou
18, cela pouvait varier d’une corporation à une autre et dans quelques cas on trouve des apprentis ayant un âge au-dessus des 20 ans. Pour l’origine socioprofessionnelle des apprentis on a que, « 64% des pères (vivants ou morts) appartiennent au monde des arts et métiers que leurs enfants s’évertuent à rejoindre. Parmi eux, 21% sont maîtres, mais plus souvent en Provence et rarement de la même profession que celle choisie par leurs enfants (…). 7% sont des compagnons, mais cette catégorie est surement sous-représentée. Les autres pères sont bourgeois de Paris (15% -sans doute ayant très fréquemment passé par les
métiers), petits officiers et employés (6%), gagne-deniers (6%), praticiens des professions libérales (2%) et agriculteur divers (8%) » (Kaplan, 1993, p.453). Ce qui met en relief la fermeture dans l’univers d’arts et métiers et sa nature héréditaire.
Dans des nombreux cas, les corporations stipulaient une place centrale à la catholicité pour appartenir à la même. Les fils des maîtres ne sont généralement pas considérés comme apprenti, la restriction dans le nombre d’apprentis par maîtres visait également à éviter leur exploitation au travail. Sous critères spécifiques les maîtres étaient autorisés à ‘céder’ ou
‘vendre’ des apprentis. Aussi, pour clore l’apprentissage, quelques corporations prévoyaient d’un examen qui permettait le passage au statut de compagnon.
« Il se développe au XVIIIe siècle une sorte d’apprentissage parallèle au sein de la communauté d’arts et métiers et en dehors, une pratique capable à la fois de renforcer et de miner l’édifice corporatif. Dans le contrat d’engagement, ce genre de pseudo-apprenti (ou plutôt d’apprenti-dégradé) s’appelle alloué » (Kaplan, 1993, p.459). L’apprenti mis dans ce sous-système d’apprentissage devait servir au maître « pendant quelque temps ». Certes, cela ne semble comporter aucun intérêt pour les jeunes garçons (très peu nombre à le faire), tandis pour les filles cela est préférable à la précarité d’un apprentissage clandestin ou bien pour accéder à un métier ‘masculin’.
« De toutes les façons, des filles/femmes seraient contraintes de travailler hors le système, comme des ouvriers sans qualité, dites fausses ouvrières (sauf en ce qui concerne les quelques corporations féminines qui existaient avant les années
1770). Ainsi l’allouage ne constitue pas pour elles un renoncement irrationnel ou une marginalisation en quelque sorte gratuite. Au contraire, l’allouage représente une espèce d’ouverture, l’occasion d’apprendre un métier dans de bonnes conditions, avec certaines protections contractuelles, et de forger des réseaux qui seront précieux plus tard. Pour ces filles, l’allouage est l’itinéraire noble vers une pratique illégale sauf dans les lieux privilégiés » (Kaplan, 1993, p.463).
Le système corporatif touche sa ‘fin’ en 1776. Les pratiques, caractéristiques et la fonction de l’apprentissage en soi sont remises en question. Parfois les parcours étaient trop long, parfois trop couteux, et des accusations d’‘inutilité’ se levaient. Des controverses défendant ou signalant comme nocif le corporativisme ont lieu dans l’illustration, pour les défenseurs
l’atelier est l’idéal pour la formation des jeunes, pour les détracteurs, le système néglige des aspects centraux pour la formation de la personne, à ce point la dispute se centre sur la formation de l’ouvrier et la formation de la personne, ce dont le jeune à besoin pour orienter son cap, discipline ou liberté. Le discours des révolutionnaires tels que Rousseau questionne les métiers ‘répétitifs’ face aux « travaux propres ».
« Peu d’auteurs abordaient directement la question de l’apprentissage. Mais plusieurs évoquent le problème de l’enseignement technique, implicitement mettant en cause les pratiques traditionnelles d’apprentissage, ou soulignant le besoin de les parfaire, régulariser et institutionnaliser. Diderot par exemple prône la création d’une académie pour les arts mécaniques, instrument pour capitaliser et transférer rationnellement les acquis des artisans et en même temps pour les dépasser grâce à l’esprit inventif » (Kaplan, 1993, p.469).
L’effacement des corporations fut un évènement soudain qui a fait disparaître l’apprentissage du panorama éducatif sans proposition d’un réel succédané. Plus de deux décennies ne font que contourner le problème sans résolutions politiques, l’ouverture est annoncée à condition du paiement, mais rien n’est clair des nouvelles démarches, des apprentis continuent leur formation, d’autres sont renvoyés, des parents (dont la plupart du milieu des arts et métiers) mettent leurs enfants en apprentissage et le recours aux autorités se fait excessif et presque sans motivation. Bien sûr, dans ce contexte, les règles corporatives perdent toute validité et des abus ont lieu.
La confusion règne et les corporations se morcèlent. Il y a des détracteurs et des défenseurs du système, mais des changements s’opèrent, par exemple, comme conséquence des droits de l’homme, maîtres et apprentis ont tous les deux le droit à choisir avec qui effectuer la formation. Finalement en 1791 les corporations sont abolies de manière définitive. Pourtant, l’apprentissage, désormais détaché des corporations, continue à exister, laissant une marge de manœuvre pour la négociation de sa durée, entre deux et quatre ans, maintenant non entre corporation/communauté, mais entre société/autorités. D’autres changements législatifs se font petit à petit, jusqu’à ce qu’il y est plus rien de l’«ancien régime ».
Les corporations des strumentai
Franco Cologni dans l’introduction de « Strumentaio. Il costruttore di strumenti musicali nella tradizione occidentale » , dénonce la “discrétion” avec laquelle l’histoire nous a raconté la vie et l’œuvre des grands strumentai, dont, d’après lui les corporations peuvent avoir une part de responsabilité, non exclusive en tout cas. Sans l’apport de Renato Meucci, dans son étude consciencieuse il aurait été fort difficile, voire inabordable pour moi de pénétrer dans les préalables de la formation des strumentai, or, je tiens à lui remercier, de plus parce que comme signale le Président de la fondation Cologni, il ouvre un nouveau
‘champ d’étude’, celui des strumentai comme professionnels (qui comporte tout à fait les
aspects formatifs) et non seulement lié à la vénération de leur œuvre.
On abordera donc, des corporations disparates qui ont marquée l’histoire de la facture instrumentale dans le monde et ont aidé à modeler les secteurs spécifiques, leur formation, système de production, de distribution, relation avec le territoire et l’éventail actuel d’instruments de musique. Il sera question de parler des violeros de Séville, des constructeurs de Paris et Mirecourt, des luthiers de Füssen, des constructeurs d’instruments à vent de Nuremberg, des cordari de Rome et du métier en libéral dans les grands centres italiens, Brescia et Crémone.
L’assertion des corporations comme responsables de l’invisibilisation des strumentai est dû entre autres causes à l’interdiction de signature au nom propre des facteurs, qui en avant n’était pas non plus une norme, rare sont les instruments anciens signés. Un exemple d’instrument signé par son constructeur est « le ‘chitarrino’ du musée de Eisenbach, ville natale de J.S. Bach, construit vers l’année 1450 à Nuremberg dé Hans Ott, premier cas connu d’un instrument à cordes signé » (Meucci, 2008, p.44), ou le cas du clavecin, dont le créateur (au sens d’invention), le viennois Hermann Poll est le premier inventeur d’un instrument de musique connu, cela à la fin du XIVe siècle.
Sans compter que si bien les corporations affermirent une position relativement aisée aux membres, par ses normes et restriction limitaient en même temps les possibilités de s’enrichir par l’exercice du métier. Dans la renaissance, en Italie les strumentai exerçaient sans liens ou restrictions corporatives et grâce à cela, certains professionnels de la facture
instrumentale ont pu être prospères, en accumulant des capitaux pour devenir riches, tel le cas des familles Maler et Triffenbrucker, venues de Füssen, dans la figure de Luca Maler et Moisé Triffenbrucker. Si les instrumentai étaient subordonnés à la corporation d’art et métiers, ils bénéficiaient d’Independence.
Quoique les violeros de Séville ne fussent pas organisé dans une corporation au sens propre,
c’est le premier regroupement strumentai qui y peut être assimilable. Des documents de
1527 concernant l’examen de violeros, nous font partie des exigences pour les aspirants luthiers à la ville de Séville, dans ces documents « sont rapportés les principales clauses d’exécution et d’évaluation d’un capo-lavoro (ici dans l’acception originaire de ‘première œuvre’) » (Meucci, 2008, p.82). Pour cet examen il était demandé aux aspirants d’être en mesure de construire des différents instruments, à cordes et à clavier.
Les normes corporatives dans la facture instrumentale obéissaient à celles décrites par Kaplan dans le cas parisien. Ainsi le maître abritait sous son toit ses apprentis, les nourrissait, et était tenu de transmettre son savoir sur le métier, ils venaient payés pour cela. Eux aussi étaient soumis au respect des normes corporatives, à sa protection et au versement des tasses d’adhésion. « La corporation avait comme objectif principal, celui de prévenir la concurrence extérieure, maintenir sous contrôle le nombre de personnes impliquées dans une activité artisanale donnée, établir et réguler les prix des produits ayant pour but de favoriser aux membres. Justement ce système corporatif garantissait un niveau de qualité décidément haut. Cependant, en même temps cela imposait une standardisation de la production qui ne laissait que très peu d’espace à l’innovation et l’expérimentation » (Meucci, 2008, p.91)
En tout cas, les corporations des strumentai ne furent pas la règle, ils devaient s’inscrire à d’autres corporations. Ainsi, les strumentai ont dû se soumettre à appartenir à des corporations dont le rapport avec leur spécifique travail était donné par les matériaux et outils employés pour le travail, de cette sorte, des strumentai étaient inscrits aux corporations de menuisier, des tourneurs, des travailler des métaux, donc les orfèvres. Grâce au fait de l’inscription aux corporations si disparates et point spécifiques à leur réalité professionnelle, les strumentai en tiraient profit, et ils commencèrent progressivement à signer leurs instruments, avec leurs propres noms. Font exception à cette tendance les
constructeurs des instruments à vent, plus clairement sous contrôle de la corporation des
tourneurs, qui ont dû attendre plus pour accéder au droit de la ‘marque personnelle’.
L’un des centres plus actifs et sans doute l’un des berceaux de la facture instrumentale est Füssen. C’est de là-bas qui proviennent des familles des grands strumentai, qui transférés en Italie, France et Nuremberg ont aidé à forger l’art des strumentai, on y trouve les Maler, Gerle, Trieffenbrucker et Ott. La fabrication des instruments de musique dans cette région remonte à la fin du XIIe siècle. Dans cette ville il y avait une grande concentration des ateliers par rapport à la taille de la même, par ailleurs cette activité bénéficiait des faveurs des hommes au pouvoir, dont le cardinal Otto truchseßvon Waldburg, qui soutenait financièrement des strumentai et qui d’après Meucci a joué un rôle central pour l’autorisation de la création de la corporation des luthiers de Füssen en vers 1562, « à l’époque la seule en toute Europe » (Meucci, 2008, p.98).
La prolifération des luthiers dans la zone a fait qu’il y ait plus des contrôles de la part de la corporation, visant à réguler la quantité des personnes exerçant le métier et les requis pour un exercice honnête et de qualité. Ainsi dans les normes de la corporation était stipulé le temps de l’apprentissage (5 ans), le besoin dans stage de formation, l’obligation d’exercer pour un minimum de 3 ans avant de prendre des apprentis (2 ans pour les fils), les frais dus à l’appartenance à la corporation et les formalités pour la passation de l’examen. L’apprentissage devait se faire avant le mariage et suivant les règles de la corporation, il était exigé pour l’installation d’avoir son propre outil et où ouvrir son atelier, la médiocrité était jugée et pouvait mener à l’exclusion. Ces luthiers avaient également affaire direct aux ventes opérant comme marchands de ses instruments ou en liens avec des commerçants.
“Un autre cas hautement représentatif d’association corporative de strumentai è celui de la guilde de Saint Luc à Anvers. Déjà active dés 1382 cette corporation, jusqu’alors composée principalement par peintres et sculpteurs (mais aussi par des divers catégories d’artisans), tous rigoureusement d’Anvers, en 1557 ouvra la porte au constructeurs des clavecins » (Meucci, 2008, p.102). Néanmoins, cette guilde n’accepta que 10 facteurs (selon le statut
« au futurs » d’autres facteurs de clavecins pouvaient être admis à la guilde), ceux qui ont passé la demande, par conséquent il a été interdit de construire des clavecins dans cette ville à tout autre facteur, dans ce cas spécifique les facteurs par norme devait mettre son
nom et une marque, le capo-lavoro était requis indispensable pour l’obtention de la maitrise et les droits s’héritaient aux fils des membres.
Les rigides normes corporatives pouvait quand même être contournées, à condition d’avoir le soutien des personnes de grand relief. Cette le cas d’un tel Antonio Brena, qui à Milan par autorisation du duc Afonso de Albuquerque bénéficiait du droit de production en exclusive d’un instrument, sans avoir des liens aux corporations. Le fait de travailler au service des autorités civiles ou religieuses permettait un exercice moins normé pour tous les facteurs.
Un autre cas de corporation à l’époque de la renaissance qui peut être cité est celui des constructeurs des flûtes de Venise. Qui correspond typiquement à la structure corporative, avec ses qualités et défauts, pour cette corporation la prohibition de la marque personnelle durera jusqu’à la moitié du XV siècle.
Plus tard, déjà entrés dans l’époque baroque on trouve par exemple à Paris une corporation de strumentai. « En 1599, pendant le règne d’Henri IV, alors que les fabricants se sont écartés de la grande communauté des joueurs d’instruments (…) celui qui se dédiait à la profession de constructeur à Paris devait démontrer par des documents un apprentissage de
7 ans et la réussite à un examen de maitrise, dans lequel étaient représentées toutes les difficultés techniques sensibles de rencontrer dans l’exercice du métier » (Meucci, 2008, p.131). Ni l’apprentissage, ni la présentation du capo-lavoro, n’étaient exigés aux fils des maîtres.
Toujours en France et plus avant dans le temps, on trouve la corporation de Mirecourt. Que comme le signale Valérie Klein s’est instaurée en 17329 sous l’autorisation d’Élisabeth Charlotte, duchesse de Loraine, pour les « faiseurs de violons », Même si « le terme
« luthier » apparaît en 1728 dans les archives locales. Tout d’abord attribué aux maîtres, il mettra une dizaine d’années à s’imposer à tous les membres de la profession (…) l’archèterie comme métier à part entière apparaît entre 1751 et 1761» (Klein, 2012b, p.110).
Le lien au pied de page indique que cette corporation exigé un apprentissage non inferieur
9 La charte des lutheirs de 1732, règles de la corporation des lutheirs de Mirecourt http://enlorraine.unblog.fr/2011/02/23/la-lutherie-de-mirecourt-88/
à dix-huit mois pour l’exercice, plus les responsabilités et frais des apprentis pour l’apprentissage. Lothaire Mabru expose la vision du secret, dans les savoirs lié à l’art luthière avec un contrat de 1635, fait à Mirecourt, qui est similaire aux contrats cités par Kaplan, dans ce contrat, on lit « le maître jouer et faiseur de violons Adrien Charles s’engage à montrer et enseigner tout ce qui dépend de sa profession à Pierre Matthieu, c’est- à-dire « lui apprendre à faire et parfaire instruments, tant violons que tous autres, sans lui en rien cacher » (Mabru, 2012, p.117).
Déjà dans cette époque les normes corporatives à Füssen ont subie des changements. La corporation devient plus restrictive à l’égard des maîtres, ne permettant qu’un apprenti à la fois et un temps d’attente pour en avoir d’autres, mesure visant à éviter la surpopulation d’artisan en facture instrumentale, une autre mesure prise est la Wanderschaft(expatriation), à priori défavorable est illogique, puisque par cette mesure les apprentis sortants étaient contraints à abandonner Füssen, « minimum cinquante milles du lieu de formation » pour une durée de deux ans, mesure prise en 1606, même avant la vague migratoire produite par la guerre de trente ans. Or, on peut supposer que dés lors la formations des strumentai de Füssen commença à influencer d’autres centres à vocation strumentai, formation et pratiques. Le Wanderschaft se faisait à la manière de l’apprentissage par le voyage des compagnons du tour de France.
À Nuremberg le constructeur des instruments à vent ne fussent pas au début regroupés dans une corporation. En 1625 naît leur corporation pour réguler cette profession que jusqu’alors se faisait en libéral, le parcours d’apprentissage est clairement long (12 ans d’apprentissage), le titre de maître n’était pas envisageable aux non citoyens de Nuremberg et la marque de Nuremberg était une obligation dans tous les instruments. On peut conclure cette section par la considération des fabricants de cordes de Rome, qui avait des exigences dans les pratiques de production, notamment le fait de ne se servir que des intestins d’agneau qui allaitaient encore.
Crémone et Brescia, la professionnel en Liberal
Bien qu’il puisse paraître peu crédible c’est là, dans la période d’or de la lutherie italienne où l’on trouve la plus grande lacune par rapport à la formation des luthiers. Faute des documents qui attestent avec netteté les informations reliés au sujet qui nous intéresse, les étiquettes des instruments peuvent être des indices pour tenter de reconstruire les généalogies formatives des grands luthiers, mais l’opinion partagée par les maîtres luthiers est de ne pas y croire, du fait que cela ne peut pas être avéré, puisque lesdites inscriptions dans beaucoup des cas sont motivées par le désir des luthiers qui voulant se donner du brille n’hésitaient pas à les inclure. Les documents manquent et avec la littérature sur le thème, comme affirme Marco Vinicio Bissolotti on se trouve « devant des écrits pondéreux, riche des dates et des nouvelles, la plupart du temps fausses (…) riches de contradictions, plus qu’à préciser, ont tendance à créer beaucoup de confusion sur un sujet déjà demandant et peu clair par soi même » (Bissolotti, 2000, p.9).
Les témoignages n’aident pas trop non plus, par exemple dans le cas le plus fameux, celui d’Antonio Stradivari, justement l’un de plus susceptibles à des fantaisies. C’est ainsi comme le comte Cozio di Salabue, qui a connu sans espace à doutes L’un des fils du maître, ne peut pas non plus servir comme témoin crédible, « la légèreté de Salabue a semé la confusion » (Pigaillem, 2012, p.19), ce dernier auteur qui est d’accord avec la théorie plus répandue sur la formation en lutherie du grand maître ajoute que ses parents ont pu être motivé à leur choix par le fait de connaître Niccolò Amati et que celui devait non seulement former au métier, mais aussi la lecture et l’écriture, une autre possibilité est celle de sa formation comme sculpteur avec Pescaroli, pour ensuite passer à la lutherie. Ce sujet n’a pas atteint et n’atteindra peut-être pas de consensus, par son caractère de mythe et sa capacité à inviter à imaginer, beaucoup a été écrit sur cela, par exemple les déjà mentionnés livres des frères Hill, celui de Sacconi, de Paigaillem, celui de Biddulph et Chaudière, etc.
On doit en tout cas rebondir sur la non soumission ou relative liberté face aux corporations pour les luthiers italiens, peut-être exceptant Venise comme dit Meucci. « Au XVIIe siècle, la corporation des artisans du bois est puissante, bien organisée. Elle regroupe différentes guildes de moindre importance, et chacune peut-être divisé en associations, par métier. Ainsi les fabricants de violons sont-ils affiliés à la guilde de fabricants d’instruments de musique qui dépend de la corporation des arts du bois et des charpentiers » (Biddulph &
Chaudière, 2008, p.21-22). Dans un tel panorama les questions sont plus grandes que les certitudes et ce qui nous reste sont les instruments et noms des plus grandes figures de la lutherie, qui sont encore le modèle à suivre et l’archétype de perfection des luthiers. Girolamo Virchi, Gasparo da Salò, Giovanni Paolo Maggini, les Amati, Andrea Guarneri, Antonio Stradivari et fils, les Ruggeri, les Bergonzi, etc. Sont des nous qui se répètent et répartirons à outrance dans l’univers de l’art strummentaio, pas seulement en lutherie.
C. Les actuelles possibilités formatives en lutherie
Des nos jours pour se former dans les métiers de la facture instrumentale il y a trois possibilités. Le maître Claudio Amighetti les évoque tout au début de notre première conversation et ensuite dans notre entrevue : la formation en atelier, se former en autodidacte ou la formation dans une des écoles. Pour la première des alternatives comme le dit Gualtiero et Maria Grazia Nicolini, la plus grande difficulté c’est que hormis être fils d’un maître « seulement quelque parent, ou fils d’amis, ou quelqu’un embrasé par la fortune, est reçu comme apprenti et réussit de cette manière, à comprendre le savoir du maître » (Nicolini & Nicolini, 2014, p.177), l’école est la voie la plus logiques et ‘facile’ de le faire maintenant et apprendre par soi même et presque prédestiné au échec.
L’étude « Artisans of Sound: Persisting Competitiveness of the Handcrafting Luthiers of Central Mexico » met en évidence la continuation des pratiques similaires à celles de l’ancien système d’apprentissage. Le sociologue Thomas J. Kies, qui pour son étude sur la transmission des savoir-faire des luthiers au Mexique, a lui-même suivi une formation (d’une durée de 16 mois) dans le métier avec un maître à Paracho, signale que cette formation est nettement plus accessible ayant des liens de famille ou d’amitié avec les
maîtres, ce qui n’était pas son cas, mais qu’au fur et à mesure de l’avancement de l’apprentissage comme il le signale, le rapport est devenu quasi familial. Kies déclare également ce système comme une voie privilégiée pour la transmission des savoir-faire artisanaux entre générations, par le fait du temps gagné pour consolider les bonnes pratiques. Cette modalité est basée sur la répétition des gestes techniques sur l’établi, or, l’observation et l’imitation priment sur tout discours oral.
Amighetti, professeur à l’Istituto Stradivari de Crémone depuis déjà presque 40 ans, affirme que, certes l’apprentissage dans un atelier est une bonne alternative pour se former au métier. Pourtant il nuance ces assertions, parce que comme il l’indique, bien que cette modalité permette de gagner du temps, « si vous restez une année en atelier, c’est comme en faire six dans une école, ce qui est donc une belle différence » (C. Amighetti, Entrevue personnelle, le 6 juin 2016), en plus de être confronté à des réalités et non à des simulations, ce qui demande naturellement de tout regarder attentivement. Néanmoins, comme, précité, être accueilli dans un atelier n’est pas du tout évident (pas pour tout le monde), en surcroît, généralement dans cette situation formative le maître ne reçoit vraiment pas d’apprentis, il n’est pas tenu à s’intéresser à ce que celui qui est dans son atelier apprenne, il n’espère qu’un bon travaille, il y a une rémunération pour le faire, il n’y a pas des leçons, mais des ordres et des indications qui doivent être obéies sans chercher à comprendre les ‘pourquoi’. Par ailleurs, pour être reçu il faut avoir des bonnes notions, ne pas être un « profane », connaître les outils et savoir les manier, avoir accumulé une certaine expérience, si possible avoir déjà construit.
On peut penser à l’apprentissage par soi-même. La technologie ouvre la possibilité d’accès à des quantités d’information accablantes, cette alternative demande également de maitriser idéalement plus d’une langue, pour consulter des sources diverses et les classer, sans jamais négliger l’incontournable « intelligences des mains » et la sensibilité avec les matériaux, faute d’un guide qui à avec soit l’expérience nécessaire et les connaissances cumulées au fils de l’évolution du métier, cela se démontre non seulement long par le temps que peut demander et les éventuels erreurs à commettre (nombreux la plupart du temps), gaspillant temps, argent, matériaux et peut-être gâcher quelque instrument. Bref, cette possibilité reste tant que ça mais n’assure rien, elle est la moins conseillée et moins effective. La facture instrumentale a pris plus de 400 ans de l’évolution pour arriver à sa situation actuelle, par
conséquent, soit par gestes techniques, soit par connaissances, on préconise d’entrer en contact avec un maître chevronné, qui a intégré en soi le métier dans ses moindres minuties.
La formation en atelier ou en école offrent des claire avantages, tandis que la voie de l’autodidaxie est plus incertaine, mais malgré cela aucunement impossible. En guise d’exemple, voilà quelque noms des luthiers formé en autodidactes sachant démontrer leur valeur : Fabrice Gougi remémore la construction de « son premier instrument –une vielle à roue- à l’âge de dix-sept ans alors qu’il travaille comme ébéniste (…)[le temps ne s’est pourtant arrêté et quelques années plus tard il disait :] « j’étais trop vieux pour entrer à l’école de Mirecourt. » son parcours sera donc celui d’un autodidacte obstiné (…) il est devenu l’un de quelque dix spécialistes en France de la contrebasse » (Albert, 1998, p.28-
29).Du côté d’Alain Carbonare « autodidacte farouchement indépendant. Alain Carbonare n’a usé les fonds de ses culottes sur aucun banc d’écoles : elles étouffent selon lui le développement de la personnalité et l’inventivité de chacun » (Albert, 1998, p.33). En Colombie José Luis España, qui parle par son expérience personnelle et comme colombien, raconte que c’est généralement cette voie ou s’expatrier si l’on est désireux de retracer les pas de Stradivari.
Donc, l’atelier forme des bons travailler qui peuvent connaître le fond des certaines réalités du métier, à condition de savoir « voler le savoir » et l’autodidacte boîte aveuglément par une voie qui ne connaît point supposant d’arriver à un moment ou un autre quelque part. L’école a comme avantage principal d’avoir des maîtres confirmés, qui connaissent le métier et son histoire, et qui en plus sont payés pour consacrer leur temps à guider, expliquer, et accompagne les élèves, là il ne s’agit pas de faire, mais d’approfondir dans les
« pourquoi » de ce qui se fait, comment le faire et les options. L’école forme certes aux gestes techniques, mais donne aussi aux élèves le goût de la recherche, formant donc des professionnels informés, habiles et capables. Les professeurs s’occupent de transmettre aux élèves le savoir propre à leurs respectives spécialités, en même temps que les élèves comptent sur des camarades qui affrontent la même situation et qui sont sensibles de s’entraider, établissant à partir de là des liens professionnels avec enseignant et camarades qui au futur seront des collèges. Par rapport à l’école à Crémone, le contexte est idéal avec une concentration d’ateliers inégalables et donc des collèges à interpeller en cas de besoin et sur qui compter, plus de qui apprendre.
Cependant, l’école ne suffit pas, parce qu’elle donne des outils pour pouvoir démarrer dans le métier, mais elle manque d’expérience réelle pour les élèves. « L’idéal est de commencer avec l’école, et après avec l’expérience en atelier » » (C. Amighetti, Entrevue personnelle, le 6 juin 2016). « On ne conseille jamais l’installation à la sortie de l’école, prévient Michel Legeard, enseignant à Mirecourt. Il faut que le jeune complète sa formation par une expérience chez un luthier (…) au moins cinq ans d’expérience professionnelle avant d’envisager sérieusement de se lancer dans la grande aventure : c’est une question de maturité » (Albert, 1997, p.36). L’école prépare le professionnel, mais c’est devant l’établie qu’il peu se réclamer tel, qu’il peut acquérir ce qu’il faut : une main intelligente, des connaissances sur le métier, le sens de l’éthique et le sens de la gestion (le talent et la passion ne suffisent pas si le métier ne donne pas de quoi se nourrir), le professionnel en lutherie exerce une activité commercial comme n’importe quelle autre.
Le métier demande un œil de lynx, le travail se fait à la dixième de millimètre près. Antonio Stradivari, «sans pitié, il détruisait les violons qui ne les satisfaisaient pas. Non, ça ne rigolait pas dans l’atelier de maître Stradivarius ! A cet homme austère et laborieux, on ne connaît ni distraction ni vice, sauf peut-être cet amour excessif pour le violon (…) entre à douze ans comme apprenti chez Nicolo Amati, très doué, il signe son premier violon en
1665 et monte son propre atelier » (Albert, 1998)
Le métier ouvre des voie multiples, les écoles et les expériences poussent vers celle qui est l’adéquate à chacun, il y a des constructeurs, des réparateurs, des restaurateurs, des fabricants d’accessoires, des marchands et des experts. Toutes les alternatives demandent une formation complète, par exemple, pour délivrer un certificat d’authenticité valable pour la loi, l’expertise doit être fait par un maître qui connaisse les moindres recoins de l’histoire du métier. Il ne peut pas se tromper et pour cela se sert des toutes les technique qu’elles soient à sa portée, comme la dendrochronologie. « Un Stradivarius –qui peut valoir jusqu’à dix millions de francs- a toujours l’ouïe droite légèrement plus haute que la gauche du fait d’un défaut visuel de ce grand maître luthier (…)[l’expert est censé le savoir] pèse sur la conscience de l’expert une très lourde responsabilité : aux yeux de la loi son avis reste valable trente ans. Autant dire qu’il n’a pas droit à l’erreur ! » (Albert 1998, p.21-22).
Les diplômes attestent la réussite d’un parcours passé à l’école. Tandis qu’une formation complète et consciencieuse se voit dans le travail, Gualtiero Nicolini parle de grands luthiers qui n’ont pas pu ou n’ont pas voulu terminer l’école et décrocher le diplôme, par exemple le grand maître portugais Antonio Capela. Amighetti parle de Carlos Arcieri, le maître colombien élève de Sacconi, qui n’a pas de diplôme mais dont personne ne mis en question sa professionnalité et sa place parmi les plus grands restaurateurs du monde ou bien son autre maître, à Paris, monsieur Étienne Vatelot, qui par son travail a démontré sa valeur et à même était l’un des précurseurs de l’école de Mirecourt.
La revue The Strad, dans son numéro 121 de 2010, dans un article nommé « How I became a luthier », nous présente des opinions des maîtres qui ont étudié dans des différentes écoles du monde, qui manifestent ce que l’école a signifié pour leurs carrières professionnelles. Ainsi Peter Beare, ancien élève à l’École états-unienne de Salt Lake City affirme que l’école lui a permis de renforcer en technique, esthétique, histoire (des instruments), design et musique ; Peter Goodfellow, ancien élève de l’École de Neward, en Angleterre, estime que l’école lui a servi pour s’imprégner du métier grâce à l’expérience des enseignants et pour le désir de ne jamais arrêter d’apprendre ; Markus Klimke, ancien élève de l’École de Mittenwald en Allemagne, se souvient de l’exigence de l’école pour l’entrée et par conséquent de sa qualité ; Nicolas Gilles, ancien élève de l’École de Mirecourt parle également des épreuves d’entrée exigeantes, du diplôme obtenu et les portes qu’ouvre et de sa chance d’avoir appris les bonnes techniques, dans un des centres historiques ; Kevin Scott, ancien élève de l’École de Chicago qui parle de l’exigence de l’école et du métier, en ajoutant « mais, cela ne fait pas mal d’avoir un bon début avec une éducation solide en lutherie » (Payne, 2010, p.48) ; et Ada Quaranta, ancienne élève à l’Istituto Stradivaride Crémone, qui parle des la grande qualité technique et préparation, sans oublier que l’école n’est qu’un pas pour améliorer avec le travail en continue.
À façon de clôture de cette section, je veux encore une fois faire appel aux mots de Renato Meucci. Qui dit que les écoles sont l’«inévitable et digne d’honneur substitut de l’apprentissage des siècles précédents, non applicable ce dernier dans une société moderne
qui ait du respect envers les adolescentes dans laquelle serait vraiment impensable une telle
« confiance de la personne » » (Meucci, 2008, p.288).
Patrimoine immatériel de l’humanité : Le savoir-faire traditionnel des luthiers crémonais
Patrimoine immatériel et son importance pour la transmission des savoirs
Il progetto Bisignano liutaria Anlai si articola su tre punti fondamentali e su altri elementi di " supporto "
Il primo elemento è il Museo attualmente in via di completamento come struttura che dovrà essere dotato però oltre a sofisticate e valide apparecchiature di controllo e di anti intrusione,e di allarme ecc collegate con le forze dell'ordine , di vetrine, , di attrezzature acustiche, ecc ecce
Si dovrà provvedere all' allestimento interno del museo sia con , fotografie, attrezzi di liuteria, forme e disegni libri. Dovranno essere collocati pannelli, attrezzature informatiche atte a dare informazioni apparecchiature che attraverso semplici tocchi delle dita come sui tablet o i cellulari moderni possano far scorrere immagini e notizie ecc Tutto il materiale e tutti i contenuti possono essere indicati e forniti da Anlai
In tal modo notizie immagini sulla storia della liuteria, sulla storia della chitarra, la costruzione del violino, la costruzione della chitarra, della chitarra battente,sui liutai italiani dalle origini ad oggi, sui luitai locali, sulla famiglia De bonis ecc ecc potrà essere conosciuto dai visitatori sia in maniera generale e superficiale sia in maniera particolareggiata e approfondita dagli studiosi, intenditori appassionati ecc.
Nel Museo troverà ubicazione l' Esposizione di strumenti di proprietà del Comune
ma anche l'Esposizione di strumenti che saranno dati in prestito a Bisignano supportati da apposita assicurazione . Si dovrà poi pensare a Esposizioni e mostre da organizzarsi ciclicamente e di supporto e di richiamo costante.
Nel museo troveranno spazio delle Sale per concerti sia interne che esterne per le manifestazioni che dovranno essere organizzate con il nedesimo scopo di richiamo e di interesse
Il secondo elemento è la scuola al cui progetto l'Anlai ha già dato il suo contributo con la previsione di un istituto a livello internazionale
Se sarà scelto altro progetto ciò non significa che la Scuola non sia comunque un elemento di interesse e di attrazione anche se certamente di non elevato livello e sempre a rischio di chiusura come purtroppo avvenuto in passato
Terzo elemento la tradizione : Il ghetto
I visitatori di Bisignano saranno indirizzati alla visita della bottega laboratorio di Vincenzo De Bonis ( necessità in primo luogo quindi di esproprio per pubblica utilità della abitazione e casa laboratorio del maestro che contiene la storia della famiglia e attrezzi particolari ecc ecc )
I visitatori potranno anche recarsi quindi presso
- il laboratorio di RosalbaDe bonis . Visitabile magari su appuntamento o a giorni e orari stabiliti
- il laboratorio di Costantino de Bonis padre di Rosalba.
- presso altri labratori e botteghe di liuteria di Bisignano e paesi vicini
-
Il progetto prevede anche una manifestazione da organizzarsi ogni anno
" Bisignano Liutaria " che ha una sua organizzazione già predisposta da Anali da organizzarsi magari nei mesi estivi e di richiamo per i molti villeggianti sulla costa
E' importante e necessario inoltre
- Allestimento di pannelli in città per indicare i luoghi della liuteria : museo, scuola, botteghe ( e magari anche ove possibile in altre località )
- Pubblicità a livello regionale, nazionale e internazionale su riviste specializzate
- Articoli su riviste , quotidiani, interviste radio Tv ( necessità di addetto stampa )
- Ricerca di Testimonial di eccezione per il progetto e per le varie iniziative
- Azienda di Promozione Turistica . Ufficio Informazioni - Interessamento di organismo provinciali e regionali
CDN Anlai
PROGETTO LIUTERIA IN
CARCERE
A conclusione del progetto ANLAI Guarneri del Gesù il “ Cannone” lo strumento ad arco copia del prestigioso reperto custodito presso il Comune di Genova e che fu di Niccolò Paganini costruito nella Casa
circondariale di Cremona da alcuni detenuti sotto la guida del M° Luca Bastiani, l’ANLAI ha presentato un altro progetto che potrebbe essere realizzato ancora presso la Casa circondariale di Cremona.
Riguarda la costruzione di una copia della viola Stauffer lo strumento ad arco della collezione del Comune di Cremona eseguita dai fratelli Antonio e Girolamo Amati a Cremona nel 1615. Il progetto prevede a conclusione dei 4 anni la costruzione di un intero quartetto. Nel progetto è anche prevista una conferenza nel carcere del noto avvocato-liutaio Cesare Gualazzini che da anni si dedica alla costruzione di chitarre classiche di grande pregio e autore di un trattato molto interessante di prossima pubblicazione. La direttrice della casa circondariale di Cremona dott.ssa Ornella Bellezza è stata insignita del Premio ANLAI 2011 nella cerimonia tenutasi a Pisogne il 18 settembre 2011 nella Chiesa del Romanino durante la premiazione delle opere vincitrici del 2° Concorso internazionale di Liuteria per strumenti antichizzati o copia di strumenti antichi presieduto da Uto Ughi
PROGETTO LA CITTA’ INVISIBILE – ANLAI
L’ANLAI ha deciso di collaborare con un
progetto che vede la presenza di liutai di chiara fama e di docenti di liuteria per aiutare l’orchestra della Fondazione Città Invisibile, scuola di musica secondo il metodo Abreu costituitasi in Sicilia, per la formazione di alcuni giovani a
supporto dell’orchestra e per il coinvolgimento di maestri liutai che vogliano dare gratuitamente il loro contributo per la messa a punto, la manutenzione e il restauro degli strumenti dei giovani impegnati anch’essi in questo splendido progetto
di recupero di giovani e giovanissimi emarginati.
L'ultimo dono ( Ne sono stati già donati parecchi )
Un buon numero di maestri liutai Anlai così come negli anni scorsi con analoga raccolta di strumenti eseguita a favore dei giovani del Conservatoro de L'Aquila colpiti dal terremoto ,ha aderito all'iniziativa e il CDN li ringrazia sentitamente
Bernardino Gatti Refettorio della Chiesa di San Pietro a Po in Cremona sede delle Giurie dei Concorsi di Liuteria Anlai 2013 ( maggio Concorso Nazionale per strumenti ad arco e settembre Concorso Internazionale per strumenti ad arco antichizzati )
PROGETTO MONTEVERDI
L’ANLAI ha approvato la partecipazione ad un progetto con la Fondazione Centro Studi Rinascimento Musicale
di Artimino impegnata in un corso triennale di formazione di giovani cantanti per opere monteverdiane. La collaborazione si estrinseca nella presenza di alcuni maestri liutai di supporto alla realizzazione di strumenti e per l’incisione di un CD
PROGETTO IBLA
A conclusione del progetto di collaborazione con la IBLA Foundation di New York e Ragusa dello scorso anno, non è stato possibile essere presenti al Premio istituito dalla Fondazione italo-americana. L’accordo
raggiunto prevede invece la presenza dell’ANLAI il prossimo anno con una dimostrazione pratica di giovani liutai e di maestri esperti.
CONVEGNI SU GIUSEPPE FIORINI
Nell’anniversario dei 150 anni dalla nascita del
grande liutao bolognese l’ANLAI ha organizzato due convegni di studio a Cremona e a Bologna
CONVEGNI SU SIMONE SACCONI
Altri due Convegni sempre a Cremona e Bologna sonoi stati organizzati rispettivamente in Comune e nella Sala Celestre per discuitere sull'opera del m° Fernando Simone Saccone presenti il M° Rampini, la prof . Maramotti, l'avv Luigi dati e il presidente Nicolini
CONVEGNO SULLE VERNICI IN LIUTERIA
In programma il 30 maggio 2013 convegno a Cremona in sala Puerari a numero con i relatori Igor Moroder Gabriele Carletti, Claudio Rampini
I CONCORSI
LA NOSTRA DI RIMINI
IL BOSCO INCANTATO DI PISOGNE
IN USA CON MATTEO FEDELI ( vedi pagina )
IN BAREIN E A DUBAI
INCONTRO CON IBLA FOUNDATION
A SAN PIETROBURGO