Pillole di Liuteria
20 luglio 2018
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8 agosto 2018
Un grande personaggio considerato uno dei liutai più importanti di fine ottocento e primo novecento.
Nacque a Bazzano in provincia di Bologna il 28 settembre 1861. Anche suo padre Raffaele era noto per il suo impegno e le sue capacità nella costruzione di strumenti ad arco anche se si era dedicato alla liuteria all’inizio solo saltuariamente. Era stato poi convinto da musicisti che lo apprezzavano molto e aveva deciso di trasferirsi a Bologna nel 1668, di aprire bottega in via Castiglioni e di abbandonare la sua attività molitoria di tradizione familiare.
Alternò momenti di successo ad altri di difficoltà ed è certamente per questo motivo che, pur apprezzando l’aiuto che sin da piccolo il figlio Giuseppe gli aveva dato in bottega, desiderava che egli si dedicasse ad altre professioni e cercò in ogni modo di ostacolarlo nella sua scelta.
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Giuseppe invece era appassionato di liuteria, sin da giovanissimo vagheggiava di poter seguire le orme dei grandi liutai classici cremonesi e di Stradivari in particolare ed a lui si deve la riaffermazione dell’importanza della liuteria italiana nel panorama internazionale e la diffusione della costruzione dello strumento ad arco secondo il metodo cremonese e stradivariano.
Teniamo presente che in quel periodo il metodo della forma esterna o ” alla francese “ si era affermato in tutta Europa ed anche in Italia era seguito dalla quasi totalità dei maestri liutai e fu proprio Fiorini a imporlo di nuovo anche grazie a Simone Fernando Sacconi.
Nel 1881 neppure ventenne aveva presentato due sue opere all’Esposizione Musicale di Milano, una mostra concorso inaugurata dalla regina Elena, cui parteciparono i più importanti liutai del tempo ottenendo una medaglia di bronzo e giudizi lusinghieri della giuria.
Fu in quella occasione che poté vedere alcuni dei cimeli stradivariani che erano stati esposti dal marchese Giuseppe Rolando Dalla Valle e da sua moglie che li aveva ricevuti in dote alla morte del padre.
Provenivano dalla collezione del conte Cozio di Salabue cui erano stati venduti da Paolo Stradivari, ultimo figlio del grande maestro, e da a allora cercò in ogni modo di poterli acquistare perché convinto di poter apprendere grazie a loro alcuni “segreti” del sommo maestro.
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I difficili rapporti con il padre lo avevano convinto ad aprire una sua bottega in via Santo Stefano e quindi in corte de Galluzzi sempre a Bologna ma vi rimase poco tempo perché nel 1888 ( dopo il buon successo a Parigi nel 1886) ed anche grazie all’affermazione all’Esposizione di Bologna la grande manifestazione musicale e liutaria tenutasi nella sua città, in quell’anno, avendo conosciuto il più grande liutaio bavarese Andrea Riegher, decise di accettare la sua proposta e di trasferirsi a Monaco di Baviera.
In breve tempo si affermò ottenendo la ammirazione dei liutai e dei musicisti tedeschi , sposò la figlia del Riegher e costituì con lui una ditta di articoli musicali di grande successo. Malgrado fosse straniero, ricoprì incarichi importanti sia riguardo alla valutazione degli strumenti, sia per il rilascio della patente ai giovani liutai che volevano intraprendere il mestiere di liutaio e fu anche nominato presidente della associazione Esperti di liuteria.
I suoi strumenti erano moto apprezzati e ben valutati soprattutto dopo il successo ottenuto nel 1911 al Concorso di Torino, ma gli veniva riconosciuta anche una grande competenza sulla costruzione, sul restauro e sull’expertise degli strumenti ad arco ed era considerato pioniere della liuteria moderna e seguace della tradizione classica cremonese e del metodo stradivariano.
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Riuscì nel 1920, pur indebitandosi pesantemente, ad acquistare i cimeli , grazie anche al fatto che la marchesa della Valle aveva preferito la sua offerta pur inferiore ( cento mila lire rispetto alle 120 mila di possibili compratori statunitensi) piuttosto di farli uscire dall’Italia acconsentendo ad accettare anche solo un acconto del 20% e che le restanti 80 mila lire le fossero consegnate quando fosse stato in grado di recuperarle.
Un altro dei suoi desideri più grandi e per cui si battè per tutta la vita era quello di far nascere una scuola di liuteria anche grazie ai suoi cimeli ma Firenze, Roma e Cremona per vari motivi rifiutarono.
La malattia agli occhi che lo aveva reso quasi cieco quando si trovava in Svizzera, dove si era trasferito sia per questioni di salute sia per il fatto che sua moglie era ebrea, lo convinse ad abbandonare il suo sogno e a donare comunque a Cremona i suoi cimeli anche grazie ai buoni uffici di Illemo Camelli, direttore del museo civico, e di Pietro Anelli industriale dei pianoforti.
Farinacci che in gran segreto meditava la organizzazione delle grandi manifestazioni del Bicentenario Stradivariano non poteva permettersi di bruciarsi acconsentendo alla nascita della scuola sette anni prima del grande evento ma riuscì ugualmente ad ottenere nel 1930 i cimeli di Stradivari.
Si trattava di 1.303 cimeli composti da 895 modelli di cui 475 di carta e 410 di legno con le forme e le controforme, 13 in madreperla, 46 utensili in ferro 8 sigilli in cera quindi lettere, manoscritti,disegni, etichette, carte di misure. Grazie ad essi Cremona ha potuto tornare in possesso di materiale dal valore inestimabile sia economico, che storico e liutario.
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Il 26 ottobre 1930 , 4 anni prima della sua morte avvenuta a Monaco di Baviera, e sono passati ben 88 anni da allora, quando avvenne la cerimonia di consegna malgrado la presenza a Cremona dei fratelli Hill, del direttore del conservatorio di Zurigo, della violinista Protto e la partecipazione del podestà, del prefetto, del presidente della provincia e del questore a Fiorini fu data una semplice pergamena e anche il “ Regime fascista” del 28 ottobre ( poiché il 27 non era uscito) relazionò solo brevemente riguardo alla cerimonia cui Farinacci non aveva partecipato accampando scuse inesistenti.
Se allora era comprensibile anche se non giustificato tale atteggiamento perché si voleva far nascere la scuola solo dopo le grandi manifestazioni in onore a Stradivari e alla scuola classica cremonese, e a conclusione di esse, incomprensibile appare invece oggi il fatto che dopo ottantottoanni Cremona non senta il bisogno di dedicare al grande maestro liutaio Giuseppe Fiorini una statua, una piazza, una via per ricordare un grande personaggio che ha dedicato la sua via a Stradivari, alla liuteria ai cimeli di Stradivari donati proprio a Cremona e custoditi nel Museo del Violino.
Da sottolineare il fatto che due associazioni liutarie si battono da anni per ottenere questo riconoscimento e che abbiano raccolto adesioni e firme di centinaia di cittadini cremonesi come prevede il regolamento Comunale e richiede la Commissione Toponomastica ma anche centinaia di firme di esperti, di liutai, di collezionisti, di musicisti, di studenti di liuteria, di amanti della liuteria di tutto il mondo.
Forse c’è da attendere altri 12 anni per celebrarne il centenario?
Gualtiero Nicolini
Il Messia 1716
Cremonesi e liuteria
Breve intervento per
ricordare in questo torrido fine luglio alcune figure che non devono essere dimenticate per il loro impegno liutario anche se in diversi settori e a diversi livelli
Alfredo Puerari e Nereo Zaniboni all'EPT che riportarono in città lo Stradivari
il Cremonese 1715 ex Joachim , il direttore del giornale La provincia Mauro Masone , che si spese per far acquistare dai Cremonesi oltre al Carlo IX di Francia anche lo strumento di Nicola Amati Hammerle
Walter Stauffer che regalo' al Comune di Cremona
100 milioni di lire e fece nascere la Fondazione che ora porta il suo nome e che ha reso possibili molte iniziative
Quindi in precedenza gli studiosi Bonetti, Cavalcabo' e Gualazzini, poi Pietro Anelli, Illemo Camelli che convinsero Giuseppe Fiorini
a regalare a Cremona i cimeli stradivariani nel 1930 ( e nessuno che senta il bisogno di potersi almeno sdebitare con lui da allora )
Ma perché non ricordarlo ? Roberto Farinacci e le sue faraoniche manifestazioni del Bicentenario quindi il giornalista
Renzo Bacchetta. Il liutaio Aristide Cavalli e la sua " Officina Claudio Monteverdi " e gli studi di suo figlio Lelio, Disertori , Tintori
Poi ancora i giornalisti Elia Santoro ( ed anche topo di biblioteca ) e Panena, con i contributi dei liutai non
cremonesi Peter Tatar, Alexander Krilov, David Segal, Gilbert Solomon, Ishi Takashi, ovviamente Simone Fernando Sacconi, Pietro Sgarabotto, Gio Batta Morassi i direttori d'orchestra, Gavazzeni e Gerelli.
Quindi il musicologo Raffaello Monterosso, il
preside Sergio Renzi , poi Andrea Mosconi, il fisico Bruno Barosi, il violinista Valerio Boldi, Antonio Bergonzi, Tullio Pigoli, Camillo Genzini , Cesare Gualazzini, i Bissolotti, Stefano Conia , Giorgio Scolari, Anna Maramotti, il musicologo Antonino Albarosa
, il grande fotografo artista Quiresi, Antonio Leoni, Regis, Diotti, Giampaolo Gregori, Mario Silla , il magnate Giovanni Arvedi che sgancia milioni per il museo del violino e i suoi laboratori liutari e perché no ? con i miei libri storici sulla scuola
e sui liutai anche il sottoscritto che i grandi gestori attuali della liuteria hanno ottenuto di non far invitare alle manifestazioni ufficiali per gli ottant'anni della scuola di liuteria di cui è stato vice preside e responsabile per molti anni e
sulla quale ha scritto tre libri ( uno in inglese) che contribuirono pesantemente al rilancio di Cremona liutaria
Mi vien da ridere !
Ed ora Galimberti presidente del museo del violino e responsabile della cultura per Cremona e Palo Bodini
Gualtiero Nicolini
Stradivari The Rode 1722
Stradivari Cipriani Potter 1683
La nascita del violino
Nicola Amati il Grande 1649
Andrea Amati 1564
Francesco Ruggferi detto il Per 1696
GIOFFREDO CAPPA
(Saluzzo 1652-1717)
Chiaffredo
Cappa nasce a Saluzzo il 10 Febbraio 1652 da Andrea Cappa, originario di Finale Ligure, e da Beatrice Colomba, nativa di Martignana di Pò. Il 27 Maggio 1679 Chiaffredo Cappa sposa Annamaria Scotti (dalla quale avrà ben undici figli) e decide
di trasferirsi a Borgo San Martino di Saluzzo.
In questo periodo la sua professione principale fu quella di musicista, ma abbiamo buone ragioni di credere che già in questi anni Cappa iniziò, da autodidatta, a produrre alcuni strumenti
ispirati allo stile di Niccolò Amati.
Nel 1695, probabilmente a causa del prolungarsi della Guerra
della Lega di Augusta, Cappa vende tutte le sue proprietà e lascia Saluzzo.
Pur non avendo documentazione certa a riguardo, possiamo supporre quasi certamente che si trasferì a Torino, dove proseguì la sua carriera di musicista.
Fu in questa città che ebbe l’opportunità di entrare in contatto con Enrico Catenar, liutaio che influenzò fortemente lo stile del Cappa da questo momento in avanti.
Cappa rimase a Torino sino al 1697, anno in cui si trasferì a Mondovì, dove intensificò la attività di liutaio.
Ma è tra il 1702 ed il 1705, quando decise di ritornare a Saluzzo, che l’arte liutaria divenne
la sua principale professione, alla quale si dedicò integralmente.
Cappa morì il 6 Agosto 1717 a Saluzzo all’età di 65 anni.
Chiaffredo Cappa, più comunemente noto con il nome di Gioffredo, fu l’unico della
sua famiglia a dedicarsi alla professione del liutaio e, secondo la tradizione, ebbe un solo allievo, Spirito Sorsana, che lavorò nella bottega del Cappa durante il periodo di permanenza a Mondovì.
La datatura degli strumenti Cappa è
un problema oggigiorno largamente discusso. Ciò è dovuto al fatto che spesso essi non recano alcuna etichetta, o ne mostrano una falsa, sia essa semplicemente ridatata, o addirittura contraffatta con il nome di Amati.
Stando ad un aneddoto
che circola nell’ambiente liutario, questo genere di contraffazioni sarebbero state perpetrate ad opera dello grande violinista della Cappella Reale di Torino, Gaetano Pugnani.
È credenza diffusa, infatti, che Pugnani comprasse i violini Cappa per poi rivenderli, con falsa etichetta, come strumenti Amati.
Nonostante tale pratica abbia certamente confuso le carte della datazione
degli strumenti, la fattura degli stessi esibisce in modo talmete chiaro ed indubitabile la forte personalità del loro creatore, da non lasciare spazio a dubbio alcuno circa la loro autenticità, celebrando così, con la loro superba lavorazione,
la maestria di uno dei più grandi liutai del diciassettesimo secolo.
UN VIOLINO
DI NOBILI ORIGINI
La storia di questo violino Gioffredo Cappa è al contempo di grande interesse ed eccezionalmente unica.
In fatti, grazie alla preziosa testimonianza della Contessa Colla Della Chiesa, violinista amateur ed
ultima proprietaria di questo violino, è stato possible ricostruire gran parte della storia di questo strumento a partire dalle memorie del prosuocero Luigi Aloysius Colla.
Aloysius Colla (1766-1848), oltre a ricoprire la prestigiosa carica di Senatore del Regno di Sardegna, fu anche uno dei più importanti botanici del diciannovesimo secolo.
È a lui che dobbiamo la progettazione del Parco Botanico del Valentino di Torino, così come la stesura della bozza del prezioso testo
Herbarium Pedemontanus pubblicato dalla case editrice Augustae Taurinorum nel 1833.
Questo violino fu custodito con grande cura ed attenzione per circa due secoli, passando
di generazione in generazione, di famiglia in famiglia.
La Contessa Della Chiesa conferma come la sua famiglia, originaria di Saluzzo, non volle mai separarsi da questo violino, considerato come uno strumento raro, quasi unico. Esso infatti fu
suonato, per un certo periodo, da un famoso violinista di Torino, che le fonti concordano identificabile con il grande Gaetano Pugnani (1731-1798).
Oggigiorno il violino è
in un ottimo stato di conservazione, coperto da un finissimo strato di lacca ad olio dalle sfumature dorate.
Il legno impiegato dal Cappa per questo esemplare è di eccezionale qualità, così come pure la fattura risulta essere eccellente.
Il modello usato, la curvatura della cassa armonica ed il taglio delle effe rimandano con chiarezza allo stile dell’Amati.
All’inizio del 1900 il violino fu restaurato dal famoso ed abilssimo artista torinese Carlo Giuseppe Oddone, liutaio di fiducia della famiglia Colla Della Chiesa.
Durante questo processo una delle coste superiori è stata sostituita, in quanto logorata dal prolungato uso.
Il violino rimane ancora non pubblicato e, al momento della foto (come visibile nell’immagine sopra), un nastro azzurro ne cinge il riccio. Un manoscritto (non presente nella foto) era attaccato al nastro tramite un sigillo di cera, recante il simbolo araldico della famiglia proprietaria dello strumento, e serviva da ricevuta per l’affitto dello stesso.
Il violino è inoltre accompagnato da un Certificato di Autenticità rilasciato dalla John and Arthur Beare di Londra.
Il soprannome che identifica il violino è “Il Colla Della Chiesa”.